Camicia verde, scarpe da ginnastica grige senza lacci, capelli e barba in ordine, più forti delle foto che abbiamo visto in questi giorni su giornali e tv, Patrick George Zaky appare così di fronte al giudice. La decisione sull'appello contro l'arresto presentato dagli avvocati dell'Egyptian initiative for human rights (Eipr), l'Ong per cui lavora, è stata presa: Patrick resta in carcere, lo ha dichiarato l'avvocato che lo rappresenta, Wael Ghally. Tutto è rimandato a sabato 22 quando lo studente tornerà in aula per l'udienza sulle accuse. Patrick in aula è pallido, ha una manetta. Una sola perché l'altra, quella che lo teneva legato a un altro prigioniero, gli è stata tolta prima di entrare in aula. Quando capisce di trovarsi davanti a italiani sorride: "Ciao. Grazie", sussurra. "Come stai Patrick?". "Bene. Tutto bene". Un secondo e poi il giudice ordina silenzio. La saletta laterale della corte di Mansura è piena. Quattro avvocati, poliziotti, impiegati del tribunale e i rappresentanti delle ambasciate di Italia, Canada e Svezia. Fuori c'è anche un diplomatico americano. La prima voce che si sente è quella di Huda Nasrallah, la responsabile del team di 4 avvocati che ha preso in carico il caso. Racconta la storia di uno studente di ritorno per le vacanze arrestato per errore, di una pagina Facebook, quella da cui sono stampate le parti centrali dell'imputazione di 10 pagine, e che l'Eipr considera falsa. Poi tocca agli altri tre e a Patrick: "Sono uno studente. Studio a Bologna, in Italia  per il mio master. Voglio solo tornare a studiare". Racconta l'arresto, la paura, la benda che gli copre gli occhi: "Non ho fatto nulla di male".

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