Galimberti spiega il virus ai bambini. Umberto Galimberti, nato a Monza, 2 maggio 1942, è un filosofo, sociologo e accademico italiano, nonché giornalista de La Repubblica. Non è la prima volta che si esprime sul rapporto adulti e bambini.

Paura e angoscia secondo Galimberti

Galiberti ci fa una premessa, distinguendoci un'emozione (paura), da uno stato d'animo (l'angoscia). La paura è un'emozione primaria, legata all'istinto. E' legata all'istinto perché si scatena davanti alla percezione del pericolo. Il pericolo, però, è determinato, tangibile. "Se attraverso la strada, guardo a destra e sinistra, perché ho paura di finire sotto una macchina". Nel momento in cui, però, parliamo del covid, non stiamo parlando di un "oggetto determinato", ma indeterminato. Quando abbiamo a che fare con la dimensione indeterminata esiste l'angoscia. Caratterizzata dal fatto che non c'è un oggetto di cui avere paura, perché il covid esiste, ma non lo vediamo, non sappiamo da dove venga, non sappiamo chi potrebbe portarcelo.

Galimberti: i bambini provano angoscia, quando si parla di covid

Noi adulti, nei confronti dei bambini, adottiamo quasi sempre lo stesso comportamento, se ci accorgiamo che corrano un rischio o che stiano per compiere azioni pericolose. "Non avvicinarti ai fornelli, potresti scottarti", "non correre, potresti scivolare e sbucciarti un ginocchio", "non attraversare mai senza guardare, perché rischi di essere investito" e via così. Se non fossimo noi, a farglielo presente di continuo, compiono qualsivoglia azione (cosa che fanno comunque e a prescindere), fino a quando non ci sbattono la testa da soli.

Pertanto, li accudiamo di continuo, perché non hanno paura di niente, non conoscendo i pericoli. Non conosco la paura, ma provano angoscia, quando perdono i loro referenti ambientali. "Gli spengo la luce in camera, quando è ancora sveglio e piange. Io adulto entro in camera, accendo la luce e lui si calma". Gli determino il motivo dell'angoscia. Nel momento in cui si parla di covid, come detto in precedenza, non si può parlare di paura, ma di angoscia.

Il covid può incuriosire i bambini

I bambini sono curiosi e questo ci facilita. A loro bisogna dire sempre la verità e va evitato di tenerli lontani dal male. Tenerli sempre lontano dal male, gli fa credere che la vita sia sempre rose e fiori.Quando si evita di metterli davanti a dei problemi, gli si fa credere che la vita è sempre bella, che è eterna, è garantita. Non è così. Gli va detto e spiegato che nulla lo è, mettendoli anche davanti a situazioni che ci appaiono spiacevoli, quali un funerale, la morte e qualsivoglia problema gli si presenti. Probabilmente capiranno tutto limitatamente alle loro capacità, ma schematizzeranno che la vita non è garantita, che non avranno sempre qualcuno alle spalle dei loro bisogni e delle loro esigenze. Si vive. Possono accadere cose belle, ma la vita è anche incertezze, precarietà. "Non solo oggi, ma da sempre e per sempre".

La precarietà dell'esistenza

Nel momento in cui ci si comporta in questo modo, li si educa a viverla la vita. Prepararli a tutto questo, consente di potergli spiegare qualsiasi cosa. Gli si può dire cosa sia il coronavirus, che fa parte dell'esistenza, come si può essere infettati o infettare gli altri. Gli di può dire che fa parte dell'esistenza e che nulla è garantito. La vita è qualcosa di incerto e precario e ci si deve muovere in questo scenario di precarietà.

Come andrebbe spiegato il covid ai bambini

"Tenendo presente che ai bambini vada raccontato dei colori, ma anche dei dolori, del lutto, gli si può spiegare il covid con dei disegni. Si può cominciare disegnando un corpo umano. Fargli vedere le diverse parti del corpo: testa, naso, bocca, cuore e polmoni. Gli si dice che un piccolo animaletto ogni tanto va nei polmoni e quando c'è, si comincia a starnutire. Piangono gli occhi. Si fa fatica a respirare. Poi, per non drammatizzare eccessivamente la condizione, dicendo pure il vero, gli si dice: guarda che i polmoni dei bambini, a quell'animaletto lì, non piacciono".

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