Viviamo costantemente di controsensi, in bilico tra una cultura “perbenista” e una ben più “underoground” che a suo tempo Malinowski avrebbe rinunciato alle Isole Trobriand per scrivere il suo trattato antropologico. Bastava l'Occidente di oggi. Il tutto condensato nella più incredibile confusione e nell’estrema dilatazione dei rapporti umani: i social media. Ecco un viaggio nel mondo dei controsensi odierni, in cui caos e destabilizzazione fanno da padrone nell’animo dell’essere umano. Un passaggio continuo che si costruisce e si distrugge nell’immediato, passando per un’etica incerta e culminando nelle personalità più impersonali di sempre.

Social media e informazione: tra costruzione e distruzione

Costantemente aggiornati sulla vita economica, sociale e politica del nostro Paese, grazie alle testate giornalistiche, agli svariati blog e ai commentari online più disparati, oltre che per il merito degli stessi utenti presenti sul web, ci sentiamo in diritto di parlare senza davvero conoscere. E se da un lato le idee, le critiche e il confronto sono elementi costruttivi e utili su cui l’essere umano merita di sentirsi tale, dall’altro la distruzione è dietro l’angolo. Si nasconde dietro un like, prende vita in un commento e dilaga nelle condivisioni social. Critichiamo e demoliamo con la velocità di un dito su uno smartphone: una manciata di secondi. Vale per le persone, vale per un articolo, per un suggerimento, per una foto. Vale per qualsiasi contenuto che riteniamo utile per il nostro processo di giudizio immediato, contaminato da idee poco chiare e strutturate, nutrite spesso di infelicità culturale e intellettuale, autenticato poi dall’orgoglio fiero e ignorante che popola le bacheche social.

A tavola c’è un’etica bisbetica: il pasto social

Ordiniamo, fotografiamo e mangiamo gourmet, sushi e vegan facendo una scelta ben precisa: fa figo, è social. Con la stessa velocità e la stessa mancanza di consapevolezza poi, in un altro parallelo social di cui facciamo parte, denunciamo la scomparsa dei pesci in mare, l’inquinamento marittimo e via dicendo. Tuttavia, l’esemplare di pesce-plastica avvolto nell’involtino di riso che abbiamo davanti, va più che bene ed è davvero buono (se fotografato con la luce giusta). Denunciamo costantemente il maltrattamento di animali: però al contempo il tizio che spruzza sale grosso su enormi pezzi di carne, i panini megagalattici con hamburger da 300g di chianina e tutto il food porn che costantemente popola il web, merita al contempo la nostra attenzione. Ma in cosa crediamo davvero? Siamo quelli della carne o quelli del vegan? Del gourmet o del food porn? Delle foto o della tavola? Ma che ci importa, se agli altri appare buono…Lo mangiamo e ci crediamo. Vantiamo a tavola (e non solo) un’etica debole, masticata e risputata sui social media. Etica che segue i trend, i colori migliori. E sempre più si mangia con gli occhi.

Più di un controsenso: una rete di solitudine

Quotidianamente risucchiati in una dimensione social che ci fa perdere il contatto con la realtà e con la nostra stessa vita, instauriamo relazioni basate sulle parole. Parole non spontanee, pensate e ripensate, anticipate dall’anteprima di una notifica e poi scritte con la presunzione che siano le nostre. Ma chi siamo davvero? Chi saremmo se quelle parole fossero uscite dalla nostra bocca nell’attimo stesso in cui le abbiamo pensate? Cosa diventeremmo agli occhi del nostro interlocutore? Probabilmente qualcuno di estremamente diverso, ma sicuramente più vero nella sua insicurezza di essere giusto o meno. E qui nasce il problema: cos’è un network basato sulla condivisione e sulle “interazioni”, se le stesse comunicazioni che ne permettono il funzionamento e l’esistenza, si rivelano fasulle? È una rete di solitudine. E ce ne accorgiamo con poco. Chi ci chiama al nostro compleanno? Chi ci aiuta quando ne abbiamo davvero bisogno? Qual è il nostro consiglio quando non sappiamo cosa fare? Di certo non gli "amici di Facebook” o i “seguaci su Instagram”. Sono coloro con cui abbiamo instaurato una relazione vera, sana e concreta. Sono le persone che ci conoscono per quello che siamo, non per come ci vendiamo su un social.

Una vita piena di vuoto

Eppure…Parliamo sempre meno e scriviamo sempre più. Guardiamo sempre meno e osserviamo sempre di più. Ascoltiamo sempre meno e giudichiamo sempre di più. Ciò che più esalta la collettività e il sistema sociale, non è altro che una rete “individuale”, se così si può dire. Un buco nero in cui ci identifichiamo con una foto, dietro un filtro e una manciata di pixel, pure poco somiglianti al nostro aspetto reale. Insomma, siamo veramente consapevoli di questa nostra nuova dimensione? Questi nuovi strumenti di comunicazione, che chiamiamo social media, ci promettono la libertà assoluta di raggiungere e comunicare con chi vogliamo, ma nello stesso momento ce la negano. E ci danno indietro un vuoto. Meno ne siamo consapevoli, più questo vuoto ci domina: e sempre più riempie le nostre vite.
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