L'aldilà, l'altro mondo, il luogo simbolico del dopo la morte, esiste.

Forse non nella realtà, ma sicuramente oggi nella simulazione virtuale. Un universo ugualmente separato e distante rispetto all'immagine che ne esiste in tante culture, ma decisamente meno etereo e addirittura raggiungibile con un visore per la realtà virtuale e dei sensori da applicare sul corpo.

La storia è questa

Nel 2016 una donna sudcoreana, Jang, perde Nayeon, la figlia di sette anni in seguito a una malattia incurabile.
Un addio doloroso come solo quelli che separano un genitore da un figlio può essere. E però tre anni dopo, la tecnologia non è più quella del 2016.

La realtà virtuale

Si è evoluta, così come tutta l'infrastruttura hardware e software che compone il mondo digitale.
E proprio attraverso la realtà virtuale la donna ha potuto "incontrare" la figlia, o meglio, una sua fedele riproduzione elettronica, in un mondo simulato appositamente realizzato per un documentario televisivo intitolato "I met you", "ti ho incontrato", dalla Munhwa Broadcasting.
Nel documentario si vede qualcosa che non si è davvero mai vista prima.
La mamma indossa un casco virtuale e dei sensori per le mani ed entra in un mondo digitale che riproduce un paesaggio di campagna, sereno, con prato e alberi.
In cui all'improvviso appare la figlia, animata in 3D, un modello ricreato sulle immagini di Nayeon con i movimenti replicati catturando in digitale il moto di un bambino, come si fa al cinema e nei videogame.
E lì succede qualcosa di incredibile. Jang inizia a interagire con la figlia scomparsa, certo con tutti i limiti della realtà virtuale attuale, ma anche con tutte le opportunità che questa tecnologia oggi offre, ovvero ricreare in maniera molto fedele un ambiente e dei personaggi realistici.
Accade un miracolo in "I met you", la mamma può quasi toccare di nuovo le mani della piccola, vederla correre sul prato, fare capolino dagli alberi.
Incontrarla di nuovo quando era ormai impossibile farlo ancora.
E c'è addirittura un momento in cui il cielo cambia colore, ammantandosi di stelle virtuali, e mamma e figlia si siedono insieme per soffiare sulle candeline della torta di compleanno della bambina.
Mentre questo accade nel visore di Jang, con i parenti che possono osservare la prospettiva della donna da monitor esterni, le emozioni escono dal dominio del digitale.

La commozione

E' impetuosa e profondamente umana in tutti e due i contesti, con la mamma che in quel momento cede evidentemente alla sospensione dell'incredulità e reagisce come se avesse davvero la bimba davanti.
E con le persone subito all'esterno condividere quel moto emozionale, annullando il confine tra la simulazione e la vita reale.
Tra palloncini, scivoli e altalene, la bimba elettronica consegna poi un fiore bianco, sempre virtuale, nelle mani virtuali della mamma.
E lì ogni barriera cade definitivamente, ogni distinzione tra vero e immaginario si perde nella nuova realtà. Simulata certo, ma ormai oltre il verosimile: ora, incredibilmente, credibile.

A separare di nuovo gli universi arriva il finale dell'esperienza.

Nayeon si addormenta e vicino a lei appare una farfalla di luce, che inizia a volare intorno alla mamma. Per poi dissolversi lentamente e armoniosamente nell'aria, salendo verso il cielo.
Una parte del documentario è visibile online, con un montaggio appositamente realizzato per evidenziare lo stacco tra il mondo reale e quello virtuale.
Si vede l'ambiente reale immerso nel "green screen", lo schermo in cui poi la post-produzione proietterà il mondo virtuale così come visto da Jang.
Ad osservarlo da fuori il papà, il fratello e la sorella di Nayeon - tra lacrime e un limpido coinvolgimento emotivo. "Ho vissuto un momento felice, il sogno che ho sempre voluto vivere" ha poi dichiarato Jang, non trattenendo le parole: "Era come fosse il paradiso".
Certamente l'esperienza appare come un sollievo per l'anima, un riparo virtuale dal dolore. Per ora. Perché le implicazioni sono enormi, come in una puntata della serie TV "Black Mirror", "Be right back", in cui la memoria digitale serve anche a non farci morire mai.
Non siamo distanti dal realizzare realtà sintetiche sempre più perfette, androidi sempre più umani, visori sempre più leggeri. Annullando sempre più il confine tra il qui ed ora e l'altrove, unendoli in una nostra visione terrena e limitata, ma almeno tenendoli più vicini.
Il progresso delle tecnologie potrà imparare da noi stessi a replicare i tratti del nostro carattere, dalle nostre foto e video a modellare degli avatar sempre più reali.
E non passerà molto prima di poter avere esperienze del genere alla portata di tutti, controllate da un comune smartphone e da un visore virtuale economico.
Per aprire la porta del paradiso basterà appoggiare il dito su uno schermo, senza nemmeno bussare.
(Repubblica)
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