L’epidemia da coronavirus mette in crisi gli anestesisti e i rianimatori.
Troppo alto è il numero dei pazienti che bisogna assistere, e davvero pochi sia i posti letto che i rianimatori in servizio. In caso di condizioni eccezionali occorre “puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la “maggior speranza di vita”.
Il che vuol dire anche che tra un paziente giovane e uno anziano - secondo il modo di vedere degli anestesisti - è meglio preferire il primo. In altre parole, in qualche modo, la categoria rivendica quasi il diritto di scegliere chi salvare e chi lasciare al suo destino.
LE FORZE
Per evitare ulteriori complicazioni nella scelta, potrebbe far comodo poi verificare se il paziente ha fatto il cosiddetto testamento biologico.
Raccomandazioni etiche, dunque, ma soprattutto pratiche, che però, come spiega Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell’Aaroi-Emac, l’Associazione degli anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica, non devono sorprendere affatto.
I TEMPI
«Più che il documento della Siaarti - dice Vergallo - dovrebbero indignare le parole per esempio del capo della Protezione Civile Borrelli, quando dice che la situazione è sotto controllo». E non basta a placare gli animi neanche l’invito del ministero della Salute ad aumentare il numero delle terapie intensive. «Queste strutture non si moltiplicano come i pani e i pesci», riflette con amarezza Vergallo.
I numeri di posti letto in Italia di terapia intensiva sono circa 5 mila, ma secondo gli anestesisti ne servirebbero almeno 8 mila. Creare una nuova terapia intensiva, poi, non è cosa da poco. «Per farne una nuova, servono almeno 2 mesi». (IlMattino)
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