Un nuovo studio americano, riportato dal Los Angeles Times, è stato pubblicato la scorsa settimana su BioRxiv, un noto e prestigioso portale utilizzato dai ricercatori per condividere il proprio lavoro prima che venga sottoposto a revisione paritaria. Cosa si è scoperto? Un nuovo ceppo mutato di coronavirus apparso a febbraio in Europa e migrato rapidamente verso la costa orientale degli Stati Uniti. Questo nuovo ceppo è ancora attivo e dominante in tutto il mondo, almeno da marzo. Il COVID-19 mutato sembra essere più aggressivo e contagioso rispetto a quello che si è diffuso dalla Cina all'inizio della pandemia. Proprio per questo, gli scienziati americani hanno lanciato l'allarme perché, oltre a diffondersi più velocemente, potrebbe rendere le persone vulnerabili a un secondo contagio dopo un primo attacco del virus: insomma, una ricaduta. Come è stato comprovato questo rapporto? Si è basato su un'analisi computazionale di oltre 6 mila sequenze di COVID-19 in tutto il mondo, raccolte dalla Global Initiative for Sharing All Influenza Data,un'organizzazione pubblico-privata tedesca. Il gruppo di ricerca di Los Alamos (quello appunto americano) ha individuato 14 mutazioni del virus. Lo studio non riferisce se il nuovo ceppo è più letale di quello originario. I pazienti sembrano avere cariche virali più elevate. Tuttavia, un'analisi su 447 contagiati da parte della University of Sheffield, che collabora con il laboratorio nel Nuovo Messico insieme alla Duke University, ha mostrato che il tasso di ricovero in ospedale è il medesimo. A questo punto la domanda è lecita: il ceppo italiano potrebbe essere proprio quello mutato appena scoperto dalla ricerca di Los Alamos? I dubbi aumentano. Fonte: Il Meteo Leggi anche Coronavirus, isolato il ceppo milanese di Covid-19 Seguici su Facebook 41esimoparallelo
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