La pandemia da Coronavirus ha letteralmente paralizzato il mondo intero travolgendo vasti territori, da est a ovest, alcuni dei quali piuttosto pesantemente. E' un virus che ha colpito determinate zone all'interno delle nazioni stesse, addirittura in alcuni Paesi ha colpito "solo alcune province". Ad esempio, nella Repubblica Dominicana sono state segnalate quasi 8 mila persone positive al COVID-19, mentre ad Haiti, la nazione che occupa l’altra metà dell’isola, gli ammalati hanno sfiorato solamente quota 100. In Indonesia si stima che migliaia di persone siano morte a causa del COVID-19, eppure nella vicina Malesia, i decessi non superano il centinaio. A tal proposito, il New York Times ha effettuato un lavoro capillare confrontandosi con decine di esperti sulle malattie infettive, epidemiologi e virologi di diverse aree del pianeta per trovare una prima spiegazione a questa diversità nella diffusione di Sars-Cov-2. Cosa è emerso? Che la diffusione del COVID-19 dipende da tre fattori: caratteristiche demografiche, abitudini culturali e ambiente. Per quanto riguarda la DEMOGRAFIA, le nazioni con un basso numero di casi rilevati hanno una popolazione relativamente giovane con sintomi molto lievi e ciò li rende meno contagiosi e meno esposti a particolari rischi. In Africa sono stati segnalate all’incirca 50 mila positività, una quantità molto contenuta se confrontata con la popolazione africana (intorno agli 1,3 miliardi di persone). L’Africa è il continente più giovane, con più del 60% della popolazione al di sotto dei 25 anni. Se spostiamo lo sguardo alle ABITUDINI CULTURALI, in diverse zone asiatiche ci si saluta senza darsi la mano: in India il saluto avviene a distanza unendo le mani, in Giappone e Corea del Sud con un inchino. Queste abitudini riducono sensibilmente il rischio di contagio, ma ci sono comunque paesi in cui ci si saluta con un contatto fisico e nei quali per ora non ci sono state epidemie significative da Sars-Cov-2. Tra le abitudini culturali va riposta attenzione al fattore del turismo. Perché? Semplice, i territori che per motivi pratici o politici sono meno aperti ai viaggiatori, o al commercio internazionale, risultano essere anche quelli con meno casi positivi rilevati. La terza caratteristica è l'AMBIENTE: non vi è ancora certezza se il virus tolleri poco i climi caldi. Le epidemie più consistenti sono iniziate nella stagione invernale in Paesi con climi temperati come l’Italia e buona parte degli Stati Uniti, mentre il coronavirus è rimasto pressoché assente da zone più calde come la Guyana in Sudamerica e il Ciad nell’Africa centrale. Virologi ed epidemiologi consigliano però di non farsi troppe illusioni e spiegano che la stagione calda non comporterà, da sola, una riduzione significativa dei casi e della diffusione dell’epidemia. Il coronavirus è molto contagioso e la sua facilità di propagazione tra gli individui supera abbondantemente gli eventuali effetti di un clima più caldo. In conclusione, come si spiega la massiccia e capillare diffusione in ITALIA, Spagna, Francia o negli Stati Uniti? La risposta è che il dilagare dell'epidemia è dipesa sì dai fattori sopra elencati (ambiente, consuetudini culturali e demografia), ma anche da un altro del tutto imprevedibile: il caso. Per esempio, la presenza di un "super diffusore" (una persona che infetta molti più individui rispetto alla media) in un singolo evento pubblico può avere innescato una catena dei contagi in un ?aese con caratteristiche pressoché identiche a un altro, dove invece l’assenza di un simile evento casuale ha consentito un minor aumento dei contagi. Ciò è quello che potrebbe essere avvenuto proprio in Italia, quando ancora era del tutto sconosciuta la propagazione del COVID-19. Fonte: Il Meteo Leggi anche Coronavirus Fase 3: liberi tutti dal 6 agosto 2020, poi seconde ondate di Covid, ecco perché. Seguici su Facebook 41esimoparallelo

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