La risposta del Presidente
Una dura reprimenda, senza sconti, al malcostume correntizio portato a galla dal «caso Palamara». Ma nello stesso tempo un monito a chi volesse profittare dello scandalo per mettere la museruola agli operatori di giustizia. Infine una risposta netta a quanti gli rimproverano di non intervenire abbastanza sulla magistratura, e non solo.
Sergio Mattarella ha scelto l’occasione che più gli pareva consona per levarsi, come si sarebbe detto un tempo, tre sassolini. Sul Colle ieri si celebrava il ricordo di sei magistrati assassinati dai terroristi e dalla mafia: Mario Amato, Gaetano Costa, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Rosario Livatino, Girolamo Minervini.
Gli inviti
Insieme con i familiari delle vittime, erano stati invitati al Quirinale il vice-presidente del Csm David Ermini, il ministro Guardasigilli Alfonso Bonafede e il presidente della Scuola superiore della magistratura, Giorgio Lattanzi. Inevitabile che emergesse il contrasto tra i valori per i quali si sacrificarono quei giudici eroi e la triste realtà emersa invece dall’inchiesta di Perugia sulle nomine nel Csm.
Mattarella ha picchiato forte sul sistema delle correnti interne, all’origine delle distorsioni. Impietosa la sua descrizione di una «magistratura china su se stessa», preoccupata di costruire consensi a uso interno per barattare posizioni e incarichi. La «modestia etica», di cui recentemente ha parlato Vladimiro Zagrebelsky sulle colonne de La Stampa, è per il capo dello Stato l’indice più allarmante di questo scadimento.
Non generalizzare
Guai però a fare di ogni erba un fascio. La stragrande maggioranza delle toghe è estranea ai maneggi. Assimilare i magistrati onesti alle mele marce sarebbe profondamente ingiusto. Né si può ignorare il rischio, mette in guardia Mattarella, «che alcuni attacchi alla magistratura nella sua interezza siano, in realtà, strumentalmente volti a porne in discussione l’irrinunciabile indipendenza».
C’è sempre una parte della politica che non vede l’ora di ostacolare le Procure e condizionarne le inchieste. Ecco perché il presidente vede con favore i propositi di riforma del Csm, ma avverte che «indipendenza e autonomia sono irrinunciabili», e lui se ne sente il garante.
La posizione
A tale riguardo, ecco una precisazione: Mattarella non ha alcuna intenzione di cedere a quanti lo tirano per la giacca. «Si odono talvolta esortazioni perché il presidente assuma questa o quell’altra iniziativa», osserva. Ma «in questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del presidente difforme da quanto è previsto e indicato con chiarezza dalla Costituzione».
In altre parole, si chiede all’Arbitro di violare le regole che dovrebbe far rispettare. Facile intuire con chi ce l’ha Mattarella: Matteo Salvini e Giorgia Meloni non fanno che tirare il ballo il Quirinale su tutto quanto ai loro occhi va storto.
Le critiche
Ne lamentano uno scarso interventismo, proprio loro che accusavano Giorgio Napolitano di immischiarsi troppo. Mattarella cita un suo lontano predecessore, Luigi Einaudi, che non voleva rinunciare ad alcuno dei poteri presidenziali. «In base al medesimo criterio ho ritenuto, e ritengo, di non pretendere di ampliarli», spiega, «in nome di buone ragioni che aprirebbero la strada ad altri arbitri, per cattive ragioni». (La Stampa)
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