“Il virus è comparso tra il 6 ottobre e l′11 dicembre 2019: sbagliati i dati sull’epidemia. I modelli matematici hanno fallito”. Così il virologo Guido Silvestri, nella sua rubrica social “Pillole di ottimismo”, parla di una delle conclusioni di un articolo realizzato “dal gruppo di Francois Balloux all’Istituto di Genetica di University College of London”. Lo studio - spiega Silvestri - è pubblicato su Infection, Genetics and Evolution e si basa su un’analisi di 7.666 sequenze del nuovo coronavirus, “provenienti da numerosi Paesi di varie aree geografiche e raccolte fino al 20 aprile scorso”.
Per lo scienziato italiano, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, “le implicazioni di questa nuova datazione sarebbero enormi”. Infatti “si dimostrerebbe quello che molti sospettano da tempo, cioè che i numeri e le curve epidemiologiche di Covid-19 in Cina, fornite il 10 marzo 2020 da Zunyou Wu” alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (Croi), all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e ai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) americani, “sono sbagliati e probabilmente di molto”.
Silvestri ricorda che “sui numeri ‘cinesi’ si sono basati sia il famoso modello Ferguson/Imperial del 16 marzo 2020 che i tre modelli pubblicati su ‘Science’ tra aprile e maggio. Modelli che, come sappiamo, formano l’impalcatura scientifico-epidemiologica dell’argomento politico in favore dei ‘lockdowns’, delle ‘travel restrictions’ e delle chiusure delle scuole. Non esattamente un dettaglio”.
La verità del virologo
Lo scienziato prosegue: “Oggi è il fatidico 8 giugno. Quello che, se non stavamo attenti, avremmo avuto 151mila malati in terapia intensiva. Invece sono 286. E dopo 34 e 20 giorni dalle ‘aperture’ di maggio, non c’è alcun segno di quel ritorno della pandemia che certi esperti davano per scontato. Quest’ultimo punto è importante e deve essere ricordato con chiarezza”. Silvestri invita a guardare ai numeri per prendere atto del fallimento dei modelli matematici: i dati mostrano che sono stati “inadeguati a prevedere l’andamento reale dell’epidemia”.
Il docente della Emory University di Atlanta precisa: “Senza fare polemiche, perché ognuno fa del suo meglio, credo sia giusto verso i cittadini italiani, che per mesi hanno compiuto sacrifici durissimi, ammettere questo fatto e promettere che tali modelli non saranno più usati per prendere decisioni politiche, ad esempio per le scuole”. Anche il bollettino di ieri confermerebbe infatti che “la ritirata continua: scende il numero totale dei ricoverati in terapia intensiva per Covid-19 in Italia, che sono ormai al 7,0% del valore di picco. Scende anche il numero dei ricoveri ospedalieri totali (da 5.002 a 4.864, quindi di altre 138 unità), mentre i casi attivi totali scendono da 35.877 a 35.262, quindi di altre 615 unità”.
I casi saliranno
“Prima del 4 maggio”, sottolinea Silvestri, gli autori dei modelli matematici sugli effetti della fase 2 che si stava pianificando, “basandosi su modelli matematici hanno detto al Paese: ‘Sappiate che, non appena si riapre, i casi sicuramente saliranno. Di poco se riapriamo un po’, tantissimo se riapriamo molto’. In altre parole, ci aspettava un disastro. Mentre altri esperti hanno detto: ‘Il virus dovrebbe avere andamento stagionale, non c’è motivo di temere una catastrofe estiva’”. Ebbene, “le cose sono andate come sappiamo”.
Anche guardando agli Usa, le conclusioni rimarrebbero le medesime. “In molti - scrive - mi chiedono come vanno le cose ad Atlanta e in Georgia. Direi bene, con una situazione sotto controllo e un totale di 51.898 casi e 2.174 morti”, di cui ieri “4. La nostra mortalità per 100mila abitanti è 19,7, il che vuol dire la metà di quella riscontrata nel Veneto dell’ottimo Andrea Crisanti (39,9). Insomma, direi che nel nostro piccolo ci siamo difesi piuttosto bene. Interessante notare che in Florida, Stato dal lockdown minimo, la mortalità per 100mila abitanti è ancora più bassa (12,6)”. Ecco quindi che “i dati della Georgia e della Florida dimostrano ancora una volta come i modelli epidemiologici, che al contempo postulano un massiccio effetto positivo dei ‘lockdowns’ e non tengono conto del fattore climatico-stagionale, non spiegano l’andamento della pandemia in modo universalmente valido, e come tali non dovrebbero essere usati per guidare le scelte della politica”. Fonte: Huffington Post
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