Un primo maggio di proteste a Pompei, dove gli operatori del turismo sono scesi in piazza, al grido di: "bisogna ripartire". Sono scesi in piazza, in 150 tra chef e imprenditori provenienti anche da Capri, Ischia, Amalfi
Pompei, in piazza a manifestare
Dagli imprenditori che gestiscono le strutture ricettive ai lavoratori stagionali, agli chef stellati e gli operatori del trasporto turistico: sono scesi in piazza questa mattina a Pompei in provincia di Napoli.
I diversi operatori sono scesi in piazza per rappresentare il disagio di un comparto che in Campania, fino alla pandemia, era uno degli elementi trainanti dell'economia. Nel 2018 gli arrivi e le presenze sono aumentati del 7,7% e del 3,3%, che in valore assoluto corrispondono rispettivamente a circa 6.075 milioni e 21.132 milioni.
In strada Pompei, Amalfi, Capri, Ischia e Sorrento
Oggi le cinque "piazze forti" della proposta turistica campana - Pompei, Amalfi, Capri, Ischia e Sorrento - hanno voluto protestare per far sentire la loro voce.
Il Presidio a Pompei
Stamani si è tenuto un presidio sotto la sede del Comune di Pompei, a ridosso del santuario della città, per spiegare che la
"filiera turistica scende in pizza per il sostegno alle famiglie, la dignità dei lavoratori di tutto il comparto e del trasporto turistico". L'obiettivo è quello di arrivare ad una "ripartenza in sicurezza".
"
Salviamo la stagione, che nessuno resti indietro": il messaggio di un volantino che ha portato a Pompei quasi 150 operatori del settore turistico delle cinque città della Campania.
Le richieste sono quelle di una ripartenza sicura, certezza sui ristori e campagna vaccinale gli argomenti principali. Tanti anche gli striscioni preparati per l'occasione dai manifestanti:
"Inglesi, americani e tedeschi aspettano segnali credibili per venire da noi. Diteci pubblicamente cosa state facendo!"
"Dateci i vaccini"
"Senza vaccini non si lavora: dateci i vaccini, organizzeremo noi il resto"
E ancora: "Chiusure alle ore 23 e poi alle 24? Si può fare, applicando controlli rigidi e sanzioni severe" e "
Che a morire sia il Covid, non il lavoro".
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