Simone Bilardo è un ragazzo qualunque che, come tanti, ha visto la vita metterlo di fronte a una verità terribile: la diagnosi di due tumori incurabili. Ascoltato nel podcast One More Time condotto da Luca Casadei, Simone racconta che, nel 2023, i medici gli avevano dato una speranza di vita di soli due anni. Ma nonostante tutto, ha scelto di vivere ogni giorno con dignità, coraggio e speranza. Questa è la sua storia, tra fragilità umana, amore familiare e la ricerca di significato in un tempo limitato.
La diagnosi: quando il “normale” diventa drammatico
Simone scopre tutto dopo un incidente che sembra chiudere in modo insignificante un capitolo del suo vissuto: una caduta leggera. Il giorno dopo, il mal di testa, la nausea, la decisione di andare in ospedale. Una TAC evidenzia la presenza di due tumori, aggressivi, “supercattivi”, non operabili. È un momento che cambia tutto: non solo il corpo, ma la mente, le abitudini, la percezione del tempo.
Il fatto che non si possa operare rende la malattia diversa da tante altre: non è una sfida chirurgica o di chemio che punta alla guarigione totale, ma piuttosto alla gestione, alla convivenza e al senso che si può costruire davanti all’irreversibile. Simone accetta che la prognosi è di due anni: una cifra che pesa, ma che diventa cornice per vivere.

La scelta delle cure: autonomia, qualità di vita e amore domestico
Simone racconta che gli è stato chiesto se preferisse cure endovenose o con compresse. Ha scelto le compresse, per mantenere una libertà, ridurre le ospedalizzazioni e restare vicino ai suoi affetti.
Poi la decisione di trascorrere parti di tempo in ambienti curativi ma al tempo stesso rigenerativi: otto mesi in Sardegna, otto mesi in un camper. È un modo di restare “vivo”, nonostante tutto, un modo di continuare a desiderare paesaggi, compagnia, esperienza. Insieme alla moglie, Simone parla di “cose incredibili” vissute nonostante la malattia.
Il racconto pubblico: cosa significa uscire dal silenzio
Simone ha condiviso la sua storia nel podcast One More Time, affidandosi alla voce di Luca Casadei per raccontare, senza filtri, la verità. Il podcast diventa spazio di confessione, ma anche di testimonianza: mostrare che non è un mito del guerriero solitario, ma una persona che soffre, che ama, che è sostenuta da una comunità.
È importante perché spezza tabù: il dolore spesso resta nascosto, le malattie incurabili vengono evitate, negati come se parlarne fosse sconfitto. Simone non solo parla, ma chiede attenzione, empatia, umanità.
Biografia emotiva e profilo personale di Simone Bilardo
Poco si sa di precedenti pubblici: Simone non è personaggio famoso, non è influencers, non è testimonial (almeno non prima di questa storia). È uno “di noi”, che attraversa il quotidiano, la famiglia, le amicizie, i viaggi, i piccoli gesti. Questo rende la sua storia potente: non perché è straordinaria di per sé, ma perché è eccezionale nella normalità.
Ha una moglie, genitori, fratelli, sorelle, amici. Racconta che “il buco più grande sarà quello che lascerò nella vita di mia moglie, quando lei avrà tutte le mie cose attorno, tutti i ricordi”. Parole che smuovono: una persona che pensa non solo al sé, ma a ciò che lascia, al ricordo, a ciò che resta dietro.
La dimensione umana del tempo limitato
Due anni: non è poco, ma non è molto. È un arco temporale che obbliga a scelte: cosa farò? con chi? come? Simone sembra averlo capito: preferisce l’autonomia, gli spazi personali, le esperienze significative. Non ritiro, ma ridefinizione.
Si parla meno di anni in più o meno, e più invece di come si voglia che siano questi anni: pieni di affetti, bellezza, di giornate che valgono. Anche la decisione del camper, del viaggio, del rapporto con la natura e con la famiglia emerge come scelta esistenziale.
Il ruolo del podcast e della narrazione del dolore
One More Time è il mezzo scelto per raccontarsi. I podcast permettono intimità: non vedi, ma ascolti; non guardi, ma entri nella voce, nei silenzi. Usare un podcast per dire che ti restano due anni è una scelta forte: rende pubblico un momento privato.
È anche un gesto terapeutico: scrivere o parlare può essere cura. Condividere il peso, l’ansia, le paure, ma anche la speranza, può alleggerire, umanizzare, fare comunità. Molti ascoltatori, che affrontano problemi loro o altrui, possono trovare conforto.

Riflessioni sul dolore, la fragilità e la forza
Simone lo dice: “Tutti pensano che io sia il guerriero… ma non è così. La vera guerriera è mia moglie, i miei genitori, mio fratello, mia sorella, gli amici”. Ecco: riconoscere la fragilità è, in sé, una forza.
Spesso il guerriero è idealizzato, ma la vita è più complessa: non è solo resistenza ma anche permettersi di tremare, di piangere, di temere, di sperare. Simone mostra che la malattia non annulla la persona: cambia il modo di vivere, ma non il valore, non la capacità di amare, di essere amato, di dare senso.
Simone Bilardo non è solo un protagonista di un podcast: è un messaggio. Non un eroe invincibile, ma un uomo che ha scelto di guardare in faccia la malattia, di condividerla, di non lasciarsi consumare dal silenzio.
I suoi due anni di vita stimati non sono una condanna, ma una sfida: far risuonare ogni giorno, ogni parola, ogni gesto. E se ascoltare la sua storia ci rende un po’ più umani, un pò più coscienti del valore del tempo, allora Simone ha già vinto.