📍 Luogo: Città del Vaticano
Emanuela Orlandi, Pietro rilancia: “C’è un rapporto nello IOR, ma fu impedito l’accesso all’ex capo della gendarmeria”
A quarantadue anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, il fratello Pietro continua a combattere per la verità. Durante l’anniversario del rapimento, ha rilasciato nuove dichiarazioni scioccanti: esisterebbe un dossier custodito nello IOR, la Banca Vaticana, al quale fu impedito l’accesso anche all’ex capo della gendarmeria vaticana Domenico Giani. La manifestazione di piazza e le parole di Pietro rilanciano l’attenzione su un mistero mai risolto.
Il mistero dello IOR: “Vietato l’accesso a Giani”
Pietro Orlandi ha dichiarato: “Nell’archivio dello Ior c’è un rapporto su Emanuela e se lo dico è perché so che è così”. Ha poi rivelato che nel 2012, quando a Giani fu chiesto di indagare sulla vicenda, fu vietato proprio l’accesso a quegli archivi. Per Pietro, questo è un segnale evidente che qualcosa di importante è custodito lì dentro.
Durante la manifestazione in Piazza Risorgimento, ha parlato anche del dolore mai sanato e del legame profondo con la sorella. “Sento che tutto si è fermato da quel 22 giugno 1983 – ha detto – mi sembra che Emanuela passasse qui pochi attimi fa”.
L’appello al nuovo Papa
Nel suo accorato discorso, Pietro si è rivolto anche al nuovo Pontefice, Leone XIV, chiedendogli di rompere il silenzio e ricordare Emanuela nel giorno del suo primo Angelus: “Sarebbe un gesto potente, per farci capire che sta nei suoi pensieri”.
Ha ricordato inoltre che la loro famiglia viveva all’interno delle mura vaticane, essendo il padre, Ercole Orlandi, un messo pontificio. Proprio per questo si aspettava una maggiore vicinanza dalle alte sfere della Chiesa.
Il ricatto e la pista economica
Secondo Pietro Orlandi, il rapimento non può essere attribuito a semplici criminali comuni: “L’oggetto del ricatto era importante. Non si rapisce una ragazza per un semplice debito. Era una questione di potere”. Respinge l’idea di un abuso isolato e avanza l’ipotesi che il Vaticano sia stato oggetto di un ricatto molto più complesso.
Ricollega la vicenda anche al crack del Banco Ambrosiano e alla morte del banchiere Roberto Calvi, ma ritiene che l’oggetto del ricatto fosse “più grande di così”.
Le tracce a Bolzano e la figura di Rudolf di Teuffenbach
Pietro ha riportato alla luce la cosiddetta pista di Bolzano, su cui indagò il giudice Ilario Martella. Due testimoni raccontarono di aver visto Emanuela in un casolare, in compagnia di un ufficiale del Sismi: Rudolf di Teuffenbach. Una delle donne riconobbe Emanuela grazie a una collanina, l’altra raccontò di una telefonata di aiuto ricevuta dalla ragazza.
Rudolf, secondo quanto riferito, era legato a personaggi potenti e ambienti controversi, inclusi membri dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Ma l’indagine venne archiviata.
“Emanuela fu filmata per ricattare”
Infine, Pietro Orlandi ha rilanciato una delle teorie più inquietanti: “Penso che Emanuela sia stata portata in un luogo in cui accadevano cose particolari, documentate con video, per esercitare ricatti”. Cita l’esempio di Enrico De Pedis, che avrebbe usato telecamere nascoste per registrare personaggi influenti adescati da Sabrina Minardi.
Secondo Pietro, Emanuela fu una pedina in un complesso gioco di potere internazionale e Vaticano. “Era necessaria viva, per continuare a ricattare”.
Le accuse e i dubbi mai chiariti
Dagli abusi denunciati nei Giardini Vaticani fino alle ipotesi di feste segrete e documentazioni compromettenti, ogni nuova rivelazione rende ancora più intricato il caso. Pietro ribadisce: “Non credo sia stato solo un abuso. È tutta una questione di potere. Emanuela era testimone di qualcosa di troppo importante”.
La richiesta di verità non si ferma
Dopo 42 anni, la battaglia di Pietro Orlandi non conosce sosta. In un’Italia che ancora si interroga, il mistero di Emanuela resta aperto, alimentato da nuovi indizi e da vecchie omissioni. Ma l’obiettivo è chiaro: “Vogliamo sapere cosa è successo davvero. Non ci fermeremo”.