L’Assegno di Inclusione, conosciuto con l’acronimo ADI, è stato introdotto nel gennaio 2024 come erede del Reddito di Cittadinanza. La misura è nata con l’obiettivo di garantire un sostegno economico alle famiglie più fragili, in particolare quelle con minori, anziani, persone con disabilità o nuclei seguiti dai servizi sociali.
L’intenzione del legislatore era duplice: da un lato tutelare chi vive in condizioni di povertà, dall’altro incentivare percorsi di inclusione sociale e lavorativa. A differenza del Reddito di Cittadinanza, che era più generalista e aveva un’ampia platea, l’Assegno di Inclusione è più mirato, destinato a situazioni di oggettiva vulnerabilità.
Come funziona l’Assegno di Inclusione
L’ADI prevede un’erogazione mensile per 18 mesi consecutivi, calcolata sulla base dell’ISEE e del reddito familiare. Alla fine del primo ciclo è obbligatorio un mese di pausa, durante il quale è previsto un contributo una tantum fino a 500 euro, a condizione che la famiglia presenti la nuova domanda di rinnovo.
Il secondo ciclo dura fino a 12 mesi. In totale, quindi, la misura può coprire fino a 30 mesi continuativi, con un’interruzione tra la prima e la seconda fase.
Il meccanismo è stato pensato per verificare periodicamente la permanenza dei requisiti, in particolare attraverso l’aggiornamento annuale dell’ISEE.
L’ISEE 2026 e la stretta in arrivo
Dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore l’ISEE 2026, calcolato sui redditi e patrimoni del 2024. Ed è proprio qui che risiede la novità più rilevante: molte famiglie che oggi ricevono l’Assegno di Inclusione potrebbero non essere più ammissibili perché i loro redditi, nel 2024, risultano più alti rispetto al 2023.
Non si tratta di una scelta politica improvvisa, ma di una conseguenza automatica del sistema. La misura, infatti, si regge su parametri precisi e vincolanti: se il nucleo familiare supera le soglie di reddito o patrimonio previste, decade automaticamente il diritto.
Requisiti stringenti e categorie tutelate
Per accedere all’Assegno di Inclusione restano necessari alcuni requisiti fondamentali:
- ISEE inferiore a 10.140 euro annui.
- Reddito familiare entro i limiti previsti, con modulazioni in base alla composizione del nucleo.
- Patrimonio mobiliare e immobiliare contenuto sotto le soglie indicate.
- Presenza di almeno un componente considerato fragile: minore, over 60, disabile o persona in carico ai servizi sociali.
- Adesione a percorsi di inclusione e disponibilità ad accettare proposte lavorative compatibili.
Questi criteri hanno già escluso dal beneficio una parte consistente degli ex percettori del Reddito di Cittadinanza.
Numeri e dimensioni del fenomeno
Dal gennaio 2024 a giugno 2025 oltre 868.000 nuclei familiari hanno percepito almeno una mensilità dell’Assegno di Inclusione, pari a più di 2,1 milioni di individui.
Nel primo semestre del 2025 i nuclei beneficiari sono stati circa 750.000, con un importo medio mensile di 669 euro. A giugno 2025 risultavano attivi quasi 666.000 nuclei.
Si tratta di numeri rilevanti che fotografano l’impatto della misura sul tessuto sociale italiano.
L’esperienza del primo rinnovo
Già nel 2025 molte famiglie hanno dovuto affrontare la fase di rinnovo dopo i primi 18 mesi. L’INPS ha inviato SMS di promemoria ai beneficiari in scadenza, invitandoli a presentare la nuova domanda.
Chi ha completato il primo ciclo ha ricevuto il contributo ponte fino a 500 euro, utile a coprire il mese di pausa. La maggior parte delle famiglie ha ripresentato domanda e ha ottenuto la proroga per altri 12 mesi.
Ma dal 2026 il quadro cambia: il nuovo ISEE basato sui redditi 2024 potrà portare a esclusioni anche tra famiglie che fino a dicembre 2025 percepiranno regolarmente l’ADI.
Le categorie più a rischio
I nuclei più esposti al rischio di esclusione sono:
- famiglie in cui uno o più componenti hanno trovato lavoro nel 2024, anche a tempo determinato;
- nuclei che hanno ricevuto eredità, donazioni o incrementi patrimoniali;
- famiglie che hanno visto uscire dal nucleo un componente considerato “fragile” (ad esempio figli divenuti maggiorenni e autonomi);
- famiglie straniere che non riescono a mantenere la residenza continuativa richiesta.
Queste situazioni, apparentemente positive dal punto di vista economico, rischiano però di tradursi nella perdita del sussidio.
Il confronto con il Reddito di Cittadinanza
Il paragone con il vecchio Reddito di Cittadinanza è inevitabile. Il Rdc aveva criteri più ampi e permetteva a una platea più vasta di beneficiare del sostegno. Tuttavia era stato accusato di alimentare forme di assistenzialismo e di non riuscire a favorire un reale inserimento lavorativo.
L’ADI, invece, ha ridotto la platea, concentrandosi sulle situazioni di maggiore fragilità. Questo ha reso la misura più sostenibile dal punto di vista finanziario, ma anche più selettiva.
Dal 2026 si vedrà se la stretta ulteriore rischierà di lasciare scoperte fasce intermedie di popolazione che non hanno risorse sufficienti per vivere dignitosamente, ma al tempo stesso superano di poco le soglie ISEE.
L’impatto sociale ed economico
Per molte famiglie l’Assegno di Inclusione rappresenta l’unico strumento di sopravvivenza. Copre spese essenziali come affitto, bollette e alimenti.
La perdita del beneficio, anche solo per pochi euro di ISEE in più, può avere conseguenze pesantissime: sfratti, impossibilità di pagare le utenze, aumento della povertà educativa per i minori.
Le associazioni che si occupano di contrasto alla povertà hanno già lanciato l’allarme: dal 2026 il rischio è di trovarsi con decine di migliaia di famiglie senza alcun tipo di sostegno.
Le possibili risposte delle istituzioni
Il governo potrebbe decidere di introdurre correttivi per evitare esclusioni troppo rigide. Tra le ipotesi discusse ci sono:
- l’aumento della soglia ISEE massima;
- l’introduzione di franchigie per redditi da lavoro occasionale;
- un prolungamento straordinario per i nuclei più fragili;
- misure complementari a livello regionale o comunale.
Al momento, però, non ci sono indicazioni ufficiali di una modifica normativa imminente.
Confronto con l’Europa
In altri Paesi europei esistono strumenti simili all’ADI. In Francia, ad esempio, il Revenu de Solidarité Active (RSA) garantisce un sostegno economico ai nuclei con basso reddito, con obblighi di ricerca attiva di lavoro. In Spagna è attivo l’Ingreso Mínimo Vital, con criteri di accesso basati sul reddito e la composizione familiare.
Rispetto a queste misure, l’ADI si colloca nella fascia medio-bassa di generosità economica, ma è più restrittivo in termini di requisiti di accesso.
Le storie dei beneficiari
Dietro i numeri ci sono storie reali. Maria, madre single con due figli piccoli, racconta che senza l’Assegno di Inclusione non riuscirebbe a pagare l’affitto. Giovanni, 62 anni, disoccupato da anni, vive con l’ADI e teme che l’aggiornamento ISEE del 2026 possa tagliarlo fuori perché ha ricevuto una piccola eredità.
Queste testimonianze mostrano come il sussidio non sia solo un aiuto economico, ma anche una forma di stabilità psicologica e sociale.
Le prospettive dopo il 2026
Il 2026 potrebbe segnare un punto di svolta. Se molte famiglie perderanno il diritto all’ADI, sarà inevitabile aprire un dibattito politico sul futuro del welfare in Italia.
Gli scenari possibili sono diversi:
- il mantenimento dell’attuale impianto, con esclusioni automatiche;
- una riforma che ampli di nuovo la platea, magari con correttivi mirati;
- l’introduzione di strumenti alternativi, legati a politiche attive del lavoro o a bonus specifici per categorie fragili.
Quel che è certo è che la questione dell’inclusione sociale resterà centrale nell’agenda politica.
L’Assegno di Inclusione ha segnato un cambio di passo rispetto al Reddito di Cittadinanza, con una maggiore attenzione ai nuclei più fragili. Ma dal 2026, con l’introduzione dell’ISEE aggiornato, migliaia di famiglie rischiano di rimanere senza sostegno.
Il tema non è solo tecnico, ma profondamente sociale e politico. Nei prossimi mesi si deciderà se e come il governo intenderà intervenire per evitare che un automatismo contabile diventi una nuova emergenza sociale.