Pensioni aumenti 2026
Pensioni aumenti 2026

Dal 1° gennaio 2026 le pensioni potrebbero tornare a crescere grazie alla rivalutazione legata all’inflazione. Lo scenario emerge dal Documento di finanza pubblica (DFP), ex Documento di economia e finanza (DEF), approvato in Consiglio dei ministri il 9 aprile 2025. Il nuovo documento delinea un contesto in cui, dopo anni di oscillazioni, gli assegni previdenziali verranno rivalutati tenendo conto dell’andamento dei prezzi al consumo.

Ecco nel dettaglio come cambieranno le pensioni, chi beneficerà maggiormente degli aumenti e quali saranno le nuove soglie per il calcolo.

L’inflazione traina la rivalutazione degli assegni previdenziali

Le prime stime contenute nel DFP prevedono una crescita dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA)fino al 2,1% entro la fine del 2025, con una media annua stimata intorno all’1,6-1,8%. Questo significherebbe che a partire dal 2026 le pensioni potranno essere rivalutate in base a questi numeri, con aumenti netti che variano a seconda della fascia di reddito.

Secondo l’Istat, il tasso d’inflazione registrato nei primi mesi del 2025 ha mostrato segnali di rialzo: dall’1,6% di febbraio si è passati al 2% a marzo, spinti in particolare dal comparto energetico (+3,2%).

Come funzionerà la rivalutazione: i tre scaglioni previsti dalla legge

Come previsto dalla legge n. 448 del 1998, la rivalutazione delle pensioni non sarà uguale per tutti, ma seguirà un sistema a tre livelli:

100% dell’aumento per gli assegni fino a 4 volte il minimo INPS;

90% per la parte compresa tra 4 e 5 volte il minimo;

75% oltre le 5 volte il minimo.

Nel 2024, il trattamento minimo era fissato a 598,61 euro mensili. Nel 2025 salirà a 603,40 euro, aggiornando così le soglie:

Fino a 2.413,60 euro: rivalutazione integrale al 100%;

Tra 2.413,61 e 3.017 euro: rivalutazione al 90%;

Oltre 3.017 euro: rivalutazione al 75%.

Le simulazioni con l’inflazione all’1,6-1,8%

Ipotizzando una rivalutazione tra l’1,6% e l’1,8%, gli aumenti netti saranno così distribuiti:

Pensione da 800 euro: aumento tra 12,80 e 14,40 euro mensili;

Pensione da 1.000 euro: tra 16 e 18 euro;

Pensione da 1.200 euro: tra 19,20 e 21,60 euro;

Pensione da 3.000 euro: rivalutata al 75%, aumento tra 27 e 30 euro;

Pensione da 5.000 euro: rivalutazione al 75%, incremento tra 60 e 67,50 euro.

Le stime con rivalutazione allo 0,8%

Se invece l'inflazione dovesse stabilizzarsi a un livello più contenuto, come lo 0,8%, i benefici sarebbero proporzionalmente più ridotti:

Pensione da 1.000 euro: aumento di 8 euro;

Pensione da 2.000 euro: circa 16 euro;

Pensione da 3.000 euro: rivalutazione al 90%, con incremento intorno a 24,63 euro;

Pensione da 5.000 euro: rivalutazione al 75%, aumento di 37,50 euro.

Incrementi anche per assegno sociale e pensione di invalidità

Oltre alle pensioni ordinarie, la rivalutazione toccherà anche le prestazioni assistenziali. Le proiezioni parlano di:

Assegno sociale: da 534,41 a 539,75 euro mensili;

Pensione di invalidità civile: da 333,33 a 336,66 euro.

In fase di studio anche un possibile intervento straordinario sulle pensioni minime, con un adeguamento tra il 2,2% e il 2,7%, che potrebbe portare gli importi tra 617,90 e 620 euro mensili.

I nuovi coefficienti di trasformazione: penalizzati i pensionamenti dal 2025

Un altro cambiamento importante è legato ai coefficienti di trasformazione che, dal 2026, saranno aggiornati. Questi parametri determinano il valore finale della pensione, traducendo il montante contributivo in rendita annuale.

Chi decide di andare in pensione tra il 2025 e il 2026 potrebbe vedere una leggera riduzione dell’importo mensile. Secondo le simulazioni de Il Messaggero, un lavoratore con 400.000 euro di contributi, andando in pensione a 67 anni nel 2025, riceverà 22.432 euro annui, circa 460 euro in meno rispetto a chi si fosse ritirato nel 2024.

Conclusioni: aumenti modesti, ma segnali positivi

La rivalutazione 2026 rappresenta un segnale positivo per i pensionati, soprattutto in un contesto economico ancora instabile. Gli aumenti, seppur contenuti, confermano la volontà del governo di mantenere un meccanismo equo di tutela del potere d’acquisto, in attesa di riforme strutturali più ampie.

Nel frattempo, occhi puntati sull’andamento dell’inflazione nei prossimi mesi: sarà questo l’indicatore chiave che determinerà l’entità reale degli aumenti.

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