È con profonda tristezza che annunciamo la morte di Armita Geravand, la giovane di 16 anni entrata in coma il 1° ottobre a seguito di un brutale episodio in Iran, in cui è stata picchiata dalla polizia perché non indossava il velo nella metropolitana di Teheran. La notizia della sua morte confermata dall'agenzia di stampa iraniana Borna, associata al Ministero della Gioventù e dello Sport. La giovane ricoverata all'ospedale Fajr di Teheran per 28 giorni, durante i quali diagnosticarono la "morte cerebrale".

Le circostanze che circondano la vicenda di Geravand fin dall'inizio avvolte da una sospetta ambiguità che ha sollevato preoccupazioni tra le organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Le autorità avevano negato qualsiasi coinvolgimento di violenza verbale o fisica da parte dei passeggeri o dei funzionari della metropolitana, una tesi respinta dai medici.

Armita Geravand morta dopo un mese di coma per gravi danni celebrali

Secondo il parere dei dottori, la ragazza ha riportato gravi danni cerebrali a seguito di una caduta, seguita da convulsioni, riduzione dell'ossigenazione cerebrale ed edema cerebrale, causati da un improvviso calo delle capacità motorie.

Organizzazioni umanitarie hanno cercato da subito di fare luce sulla vicenda. Armita Geravand aggredita dalla polizia, incaricata di far rispettare le rigide norme sull'abbigliamento imposte dal regime iraniano alle donne. La giovane picchiata proprio perché non indossava l'hijab, violando così l'obbligo imposto dalla legge alle donne nei luoghi pubblici.

La sua storia evoca il tragico destino di Mahsa Amini, una giovane di 22 anni di origine curda morta sotto custodia della polizia morale per non aver indossato adeguatamente il velo. Questo incidente aveva scatenato proteste antigovernative in Iran, accompagnate da una violenta repressione delle forze dell'ordine che aveva causato numerose vittime e arresti. Tuttavia, nonostante le difficoltà, il coraggio delle donne che sfidano le restrizioni sul velo ha dato vita a un movimento di resistenza, portando alla diffusione del motto femminista "Donna, vita, libertà" nelle città più grandi del paese.

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