Alessia Pifferi
Alessia Pifferi, l'arrivo in tribunale

Domani, 29 gennaio, avrà luogo la prima udienza del processo d’appello per Alessia Pifferi, condannata all’ergastolo il 13 maggio scorso per l’omicidio volontario pluriaggravato della figlia Diana. La data coincide tragicamente con quello che sarebbe stato il terzo compleanno della bambina. Il caso, che ha sconvolto l’opinione pubblica, torna davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano (giudici togati Caputo-Anelli), mentre nuove controversie emergono riguardo alla gestione della difesa e alle perizie psicologiche.

Le accuse e il contesto

Alessia Pifferi è accusata di aver lasciato la figlia sola nella loro abitazione di via Parea, a Milano, per sei giorni nel luglio 2022, mentre trascorreva il tempo con il compagno nella Bergamasca. Diana, di soli 18 mesi, è stata trovata senza vita, con a disposizione solo un biberon e una bottiglietta d’acqua.

Il legale di Pifferi, Alessia Pontenani, ha annunciato l’intenzione di richiedere una nuova perizia psichiatrica. Durante il primo grado, un esperto aveva già stabilito che la donna fosse pienamente capace di intendere e di volere, ma la difesa continua a sostenere che la 38enne soffra di un grave deficit cognitivo e che non abbia mai avuto l’intenzione di uccidere la figlia.

Dubbi sulle perizie e accuse contro la difesa

Un elemento centrale del nuovo processo è il test psicologico WAIS, effettuato in carcere su Pifferi e che aveva indicato un quoziente intellettivo di 40, suggerendo un grave ritardo cognitivo. Tuttavia, una psicologa penitenziaria, ascoltata come testimone, ha definito i risultati di quel test “inattendibili” e incompatibili con le capacità cognitive dimostrate dalla donna.

Secondo gli inquirenti, la difesa avrebbe orchestrato un tentativo di manipolare il processo attraverso false perizie psicologiche. Cinque psicologhe sono attualmente indagate, insieme all’avvocata Pontenani e al consulente della difesa, Marco Garbarini. Le accuse comprendono presunti contatti tra la legale e alcune psicologhe per fabbricare una narrazione di abusi e violenze subite da Pifferi nell’infanzia, al fine di ottenere l’assoluzione.

La testimonianza della “mantide della Brianza”

Tra le testimonianze acquisite agli atti spicca quella di Tiziana Morandi, ex compagna di cella di Pifferi, nota alle cronache come la “mantide della Brianza”. Morandi ha dichiarato che l’avvocata Pontenani avrebbe suggerito a Pifferi di simulare comportamenti fuori controllo e di utilizzare una “velina nera” per nascondere il volto durante le udienze.

Pontenani ha respinto tutte le accuse, definendo “inattendibili” le dichiarazioni di Morandi e sottolineando che il suo comportamento professionale è sempre stato corretto.

Nessuna telecamera in aula e un clima di tensione

A differenza del processo di primo grado, la Corte ha deciso di vietare la presenza delle telecamere, accogliendo il parere del sostituto procuratore generale Lucilla Tontodonati. Alessia Pifferi dovrebbe essere presente in aula, accompagnata dalla madre e dalla sorella, che si sono costituite parte civile contro di lei.

Il processo d’appello per Alessia Pifferi si apre in un clima di forte tensione, con nuove accuse che potrebbero mettere in discussione non solo la condotta della difesa ma anche la strategia adottata nel primo grado. Rimane al centro della vicenda il dramma di una bambina morta di stenti e la ricerca della verità sulla responsabilità della madre.

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