Il Sars-Cov-2 sarebbe un virus creato in un laboratorio cinese di Wuhan dove
“si studiava il vaccino per l’Aids. […] La sequenza dell’Aids è stata inserita nel genoma del coronavirus per tentare di fare il vaccino. […] Quindi la storia del mercato del pesce è una bella leggenda ma non è possibile che sia solo un virus che si è trasmesso da un pipistrello, probabilmente è questo che hanno modificato. Forse volevano fare un vaccino contro l’Aids utilizzando un coronavirus come vettore di antigeni. Un lavoro da apprendisti stregoni si può dire. Perché non bisogna dimenticare che siamo nel mondo della natura, ci sono degli equilibri da rispettare”.
Tuttavia:
“La natura non accetta alcuna manipolazione molecolare, eliminerà questi cambiamenti innaturali e anche se non si fa nulla, le cose miglioreranno, ma purtroppo dopo molti morti”. Per fortuna però, esiste una soluzione: “Con l’aiuto di onde interferenti, potremmo eliminare queste sequenze e di conseguenza fermare la pandemia. Ma ci vorrebbero molti mezzi a disposizione”.
L’ipotesi secondo la quale il Sars-Cov-2 potesse essere frutto di ricerche di laboratorio era circolata fin dall’inizio della sua diffusione. Tuttavia tale ipotesi è smentita da un articolo [3] pubblicato sulla prestigiosa Nature Medicine il giorno 17 marzo 2020. Lo studio, frutto di un gruppo di ricerca internazionale guidato dal californiano Scripps Research Institute, ha infatti dimostrato che il virus ha avuto origine da un salto di specie (spillover), un processo che avviene comunemente in natura [4]. Come ha dichiarato uno degli autori dello studio, Kristian Andersen, associato di immunologia e microbiologia presso lo Scripps Research Institute:
“Confrontando i dati disponibili sulla sequenza del genoma di ceppi di coronavirus noti, possiamo stabilire con certezza che Sars-Cov-2 ha avuto origine attraverso processi naturali”.
La bizzarra ipotesi di Montagnier
In un primo momento, era stata sostenuta anche da un gruppo di ricercatori indiani che avevano pubblicato in anteprima un articolo [5]. In esso si sosteneva che ben quattro sequenze del virus sarebbero state inserite partendo dal virus HIV. Gli autori suggerivano che ciò fosse dovuto a un intervento umano di ingegneria genetica. Come ha affermato il biologo Enrico Bucci [6], si tratta però di “una solenne e pericolosa fesseria”. Infatti, continua il biologo,
“due sequenze sono tipiche del coronavirus di pipistrello, mentre delle rimanenti due, solo una è davvero conservata con HIV. Ma essa è lunga solamente 6AA il che significa che il dato è puramente casuale”.
I ricercatori indiani
Dopo aver pubblicato l’articolo in anteprima, si sono evidentemente resi conto dell’infondatezza della tesi sostenuta (anche a causa delle accese reazioni suscitate nel resto della comunità scientifica), tanto è vero che lo hanno immediatamente ritirato il giorno dopo averlo reso pubblico.
Ma il nostro eroico premio Nobel non si è dato per vinto. A chi gli faceva notare che la sua ipotesi appare un po’ complottista, ha risposto piccato: “No, il complottista è quello che nasconde la verità. Credo però che in questo caso sia il governo di Pechino che ha nascosto le cose. Ma la verità però viene fuori come ho detto. Ma errare humanum est e non è il caso di fare accuse ora, né di aprire inchieste. La Cina è un grande Paese e spero che sia in grado di riconoscere un errore”.
Che dire?
Montagnier ha dato in passato importanti contributi alla scienza e sicuramente si è meritato il prestigioso premio Nobel per la scoperta dell’HIV. Tuttavia, come dicevo prima, chi conosce il personaggio prova ben poca meraviglia di fronte alle sue ultime eccentriche affermazioni. Il virologo infatti non è nuovo a simili esternazioni. [7]
Prima ancora di vincere il Nobel, nel 2002, divenne abbastanza famoso dopo l’incontro che ebbe con papa Giovanni Paolo II. Il pontefice era affetto dal morbo di Parkinson e Montagnier propose di curare la sua patologia con estratti della papaya fermentata. La cosa ebbe notevole risonanza su media. Ma suscitò anche non poche perplessità nell’ambiente scientifico. In letteratura infatti non esisteva alcuna dimostrazione che gli estratti di papaya potessero essere efficaci nella cura del Parkinson. Come dichiarò il farmacologo Silvio Garattini:
“Montagnier ha diffuso l’idea che la papaya avesse fatto bene al Papa; si tratta di dati aneddotici che non possono sostituire studi clinici controllati condotti con le moderne regole della farmacologia clinica”.
E aggiunse:
“Ancora non riesco a capire come un ricercatore dello spessore di Montagnier possa farsi promotore di un preparato del genere. Non perché si tratta di un integratore, ma perché non esistono a tutt’oggi studi che ne abbiano dimostrato l’efficacia. Non si può consigliare una sostanza se niente dimostra che funzioni”. [9]
Altre posizioni scientifiche palesemente eterodosse di Montagnier hanno cominciato a manifestarsi a partire dal 2009.
In quell’anno infatti Montagnier rese pubblica una sua singolare teoria. In estrema sintesi, alcune sequenze di DNA batterico avrebbero indotto segnali elettromagnetici di bassa frequenza in soluzioni acquose altamente diluite.
Tali soluzioni manterrebbero poi una memoria delle caratteristiche dei frammenti di DNA, anche in seguito a diluizioni talmente spinte da eliminare ogni traccia di DNA dalle soluzioni stesse (diluizioni simili vengono generalmente usate per preparare i rimedi omeopatici). Questa memoria, secondo Montagnier, potrebbe inoltre essere teletrasmessa.
L’articolo originale in cui Montagnier comunicò la sua teoria si intitolava: Electromagnetic signals are produced by aqueous nanostructures derived from bacterial DNA [10], ovvero “Segnali elettromagnetici prodotti da nanostrutture in acqua derivate da DNA batterico”.
L’autorevolezza e il prestigio dell’autore
Farebbero subito pensare a un importante e rivoluzionario contributo scientifico. Se i risultati degli esperimenti che vengono descritti nell’articolo fossero reali, bisognerebbe infatti rivedere profondamente non solo la medicina e la biologia che conosciamo, ma anche tutta la chimica e la fisica comunemente accettate dalla comunità scientifica. Come si suole dire in questi casi però: “affermazioni straordinarie richiedono prove altrettanto straordinarie”. È quindi legittimo chiedersi se queste prove esistano.
Una prima cosa da esaminare è la rivista su cui l’articolo è stato pubblicato. Le riviste scientifiche serie e prestigiose, prima della pubblicazione, sottopongono infatti gli articoli a un severo esame da parte dei cosiddetti referees, cioè ricercatori esperti nello stesso settore, chiamati a esprimere il proprio giudizio sull’attendibilità e la correttezza del lavoro presentato (tale procedura è chiamata peer review, ovvero revisione paritaria).
Su quale rivista è stato pubblicato il lavoro di Montagnier?
Si tratta di Interdisciplinary Sciences: Computational Life Sciences. Praticamente sconosciuta all’ambiente scientifico, la pubblicazione viene realizzata in Cina. Questo suona già abbastanza insolito, perché un premio Nobel avrebbe potuto scegliere una rivista più nota, e diffusa internazionalmente. Ma la sorpresa maggiore si ha andando a vedere chi è il direttore editoriale della rivista. Si scopre infatti che è lo stesso Luc Montagnier. Il premio Nobel ha pubblicato il suo articolo su una rivista da lui stesso diretta; e questo non è certo un esempio di correttezza scientifica.
Nel 2011 Montagnier
Pubblicò un secondo articolo dal titolo DNA water and waves (in collaborazione con anche alcuni ricercatori italiani) [11]. Questa volta la rivista è Journal of Physics: Conference Series. Non si tratta del serio Journal of Physics (come a volte è stato erroneamente indicato), ma di un suo “spin-off”, riservato esclusivamente agli atti di conferenze scientifiche (nella fattispecie il “Fifth International Workshop on Decoherence, Information, Complexity and Entropy” tenutasi a Castello Pasquini, Castiglioncello – LI, dal 13 al 17 Settembre 2010). In questo caso la peer review non è attuata dalla rivista, ma è demandata agli organizzatori delle conferenze. E, guarda caso, uno degli organizzatori del Workshop di Castiglioncello è Giuseppe Vitiello, uno degli autori. Ancora una volta l’arbitro coincide con chi gioca la partita.
Al di là degli aspetti di metodo e deontologici, tuttavia, ciò che suscita non poche perplessità è il contenuto degli articoli di Montagnier. Senza entrare troppo negli dettagli tecnici [12], appare piuttosto evidente che il Prof. Montagnier, nella sua ricerca, sia stato vittima di un clamoroso abbaglio. Piuttosto che tirare in ballo fantomatiche teorie che rivoluzionerebbero tutta la scienza, è molto più probabile che i campioni usati dal premio Nobel non siano stati sufficientemente sterilizzati. Questo spiegherebbe la presenza di “memoria batterica” anche nelle soluzioni ultra diluite.
Per quanto riguarda l’emissione di segnali elettromagnetici
Prima di tutto Montagnier ha utilizzato uno strumento piuttosto rudimentale, inventato dall’amico Jacques Benveniste, ricercatore molto discusso, insignito per ben due volte dell’IgNobel. [13] Inoltre, anche in questo caso, una semplice applicazione del cosiddetto rasoio di Occam [14] porta a concludere che sia estremamente più probabile che i segnali elettromagnetici rilevati dallo strumento provenissero da fonti esterne (noi siamo costantemente bombardati da segnali elettromagnetici), piuttosto che dai campioni di soluzioni ultra diluite di DNA batterico. Lo stesso Montagnier, nell’articolo, affermavava che la presenza di rumore elettromagnetico di fondo è una condizione essenziale per vedere i segnali rilevati.
Nessuno ha mai replicato i risultati di Montagnier.
Essi appaiono talmente improbabili e le metodologie utilizzate talmente grossolane che ben pochi hanno pensato di perdere tempo e denaro per intraprendere ricerche del genere. Che la vittima dell’abbaglio sia stato un illustre premio Nobel dimostra, per l’ennesima volta, come nella scienza non valga alcun principio di autorità. L’unica cosa che conta sono i fatti dimostrati in maniera convincente.
Non soddisfatto di simili incursioni parascientifiche, nel 2012 Montagnier ha dato ancora libero sfogo alla sua fantasia. Invitato alla Camera del Parlamento italiano per presentare un suo libro, Montagnier ha pronunciato dichiarazioni per lo meno imbarazzanti. [15] Ha infatti affermato che l’autismo potrebbe avere un’origine infettiva (se batterica o virale non è dato sapere) e che il trattamento dei bambini con antibiotici potrebbe dare risultati positivi (osserviamo che, nel caso di infezioni virali gli antibiotici sono comunque inefficaci). L’infezione, secondo il premio Nobel, produrrebbe stress ossidativo che sarebbe la vera causa dell’insorgenza dell’autismo nei bambini e delle malattie neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer) negli adulti. Da qui la necessità di assumere dosi massicce di antiossidanti, come quelli contenuti nei suoi estratti di papaya. Lo stress ossidativo, infine, sarebbe favorito dall’uso dei telefoni cellulari.
Più recentemente Montagnier ha affermato che le vaccinazioni infantili potrebbero essere pericolose. [16] Inutile dire che nemmeno tutte queste ultime affermazioni di Montagnier hanno mai trovato conferma da parte della comunità scientifica. Nel 2012 Montagnier venne nominato direttore ad interim del Chantal Biya International Reference Centre (CIRCB), centro di riferimento internazionale per la lotta all’AIDS e all’HIV, con sede nella città di Yaoundé in Camerun. Questa nomina suscitò la reazione di 35 premi Nobel, che ritenevano la figura di Montagnier del tutto inadeguata a ricoprire un ruolo così delicato. [17]
E’ alla luce di tutto questo che bisognerebbe valutare le affermazioni di Luc Montagnier sul nuovo coronavirus. In assenza di prove e di pubblicazioni su riviste scientifiche validate, quelle da lui espresse rimangono semplicemente sue opinioni personali. E non è con queste che si fa la scienza. (Queryonline.it)
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