Filippo Turetta Giulia Cecchettin
Filippo Turetta e Giulia Cecchettin

La Corte d’Assise di Venezia ha depositato le motivazioni della sentenza con cui, il 3 dicembre scorso, ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio della sua ex fidanzata, Giulia Cecchettin, avvenuto nel novembre 2023. Un crimine che ha scosso profondamente l’opinione pubblica italiana e che continua a far discutere per l’esclusione dell’aggravante della crudeltà, nonostante la condanna al massimo della pena.

Perché è stata esclusa l’aggravante della crudeltà

Uno dei punti più controversi della sentenza riguarda proprio l’aggravante della crudeltà. I giudici hanno spiegato che, pur avendo inflitto 75 coltellate, non vi è stata una deliberata volontà da parte di Turetta di provocare sofferenze gratuite alla vittima. Secondo la Corte, «non è desumibile, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'imputato abbia agito con l’intenzione di infliggere sofferenze ulteriori, gratuite e intenzionali».

Le coltellate – affermano i magistrati – non sono state inflitte per infliggere un dolore prolungato o per infierire, ma rappresenterebbero il frutto di un’azione concitata, cieca, e dovuta alla mancanza di esperienza dell’aggressore.

Un’azione efferata ma senza scempio intenzionale

La Corte descrive l’aggressione come un atto di “efferatezza e risolutezza”, frutto di un movente definito “abietto” e “arcaico”, legato all’incapacità dell’imputato di accettare l’autonomia e la libertà decisionale della giovane donna. Tuttavia, la dinamica non è stata ritenuta compatibile con l’intento di fare scempio o torturare: i colpi sono stati descritti come “rapidi, ravvicinati e quasi alla cieca”.

Particolarmente significativo, secondo i giudici, è il fatto che Turetta si sarebbe fermato solo quando ha colpito l’occhio di Giulia, dicendo poi che “gli aveva fatto troppa impressione”. Un dettaglio che, per il collegio, rafforza la tesi secondo cui non vi fu volontà di crudeltà gratuita, ma un'aggressione fuori controllo.

L’omicidio durò 20 minuti: Giulia percepì la sua fine

Secondo le motivazioni, l’aggressione durò circa 20 minuti, un tempo nel quale Giulia ebbe modo di percepire l’imminente morte. Questo dettaglio ha generato ulteriore sdegno tra l’opinione pubblica, ma i giudici sottolineano che la durata non costituisce da sola un’aggravante, se non vi è la prova che l’imputato abbia volutamente prolungato la sofferenza per infliggere ulteriore dolore.

Una confessione parziale e numerose menzogne

Turetta ha confessato, ma solo quanto già emerso dalle indagini. La Corte evidenzia come l’imputato abbia mentitosu molti dettagli, sia nell’interrogatorio iniziale sia nelle conversazioni intercettate in carcere con i genitori, durante le quali dimostrava consapevolezza della gravità delle prove a suo carico.

Un’azione lucida e razionale anche dopo il delitto

Nonostante l’efferatezza dell’omicidio, i giudici affermano che Turetta ha mantenuto lucidità e razionalità, soprattutto nella fase successiva, durante la quale ha tentato di nascondere il corpo della vittima in modo da ritardarne il ritrovamento. La scelta del luogo, la distanza dal delitto e la modalità dell’occultamento dimostrano, secondo la Corte, un piano preciso.

Un caso che continua a scuotere l’Italia

La vicenda di Giulia Cecchettin ha toccato il cuore del Paese, diventando simbolo di una battaglia contro la violenza sulle donne. La sentenza di condanna di Filippo Turetta all’ergastolo rappresenta un momento di giustizia, ma anche un’occasione di riflessione sulle dinamiche della violenza di genere e sulla necessità di prevenirla, partendo dall’educazione e dalla consapevolezza.

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