I fatti
La procura di Bergamo interrogherà come persone informate dei fatti il premier Giuseppe Conte, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e il ministro della Salute Roberto Speranza sulla mancata zona rossa di Alzano e Nembro.
Come anticipato dal Corriere, dopo aver ascoltato la versione del governatore della Lombardia Attilio Fontana e quella dell’assessore Giulio Gallera nelle scorse settimana, i magistrati hanno deciso di verificare l’iter seguito alla fine di febbraio quando si decise di non chiudere i due paesi della bergamasca e – il 7 marzo scorso – chiudere l’intera Lombardia.
Il calendario
Gli interrogatori cominceranno nel pomerigggio. Oltre ai politici i magistrati vogliono ascoltare la versione del direttore dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro e del consulente del governo Walter Ricciardi.
Fontana ha sostenuto che fu «una scelta governativa» e e qualche giorno dopo la procuratrice facente funzioni Maria Cristina Rota ha dichiarato: «Da quel che ci risulta è una decisione governativa. C’è un dovere da parte nostra di rendere giustizia, in questo momento siamo al primo gradino, alla ricostruzione dei fatti».
I ruoli
Come spiegato qui, la questione ha chi potesse istituire le zone rosse in Italia, durante la prima fase del coronavirus, è però al centro di una contesa tra governo e Regione Lombardia. Le prime zone rosse furono istituite a fine febbraio dal governo. E fu il governo ad agire anche quando trasformò in zona rossa l’intera Lombardia e le province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio-Emilia, Modena, Pesaro e Urbino. Oltre che Venezia, Padova, Treviso, Alessandria, Verbano-Cusio-Ossola, Novara, Vercelli e Asti.
Dopo che, l’11 marzo, il governo decise di trasformare l’intera Italia in una «zona protetta», a istituire «zone rosse» più limitate furono invece le Regioni. Sia il governo nazionale sia quello regionale avevano e hanno dunque la possibilità di agire istituendo zone rosse, come segnalato qui: ma per sei giorni, dal 3 al 9 marzo, nessuno ne istituì una ad Alzano e Nembro. La Regione sostiene che a decidere, in quel caso, avrebbe dovuto essere il governo. Il premier ha ribadito invece quanto detto in precedenza: anche la Regione poteva istituire la zona rossa, «come previsto dall’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 n.833».
Le norme
Cosa dice quella norma? Che «in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria» possono essere « emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale». Fatti salvi «le attività di istituto delle forze armate che, nel quadro delle suddette misure sanitarie, ricadono sotto la responsabilità delle competenti autorità».
Insomma: il governo sostiene che la Regione Lombardia, come tutte le Regioni, aveva tecnicamente gli strumenti normativi per agire in autonomia. La Regione Lombardia replica dicendo che fino all’8 marzo, a istituire le zone rosse in questa situazione senza precedenti era stato, di fatto, solo lo Stato. È quanto sostenuto davanti ai magistrati anche dall’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Gallera, che ha detto di aver «verificato solo in seguito» la possibilità di istituire zone rosse senza attendere il governo.
Comunicazioni
La ricostruzione effettuata dal Corriere qui, firmata da Armando Di Landro, parte dalla certezza che già il 25 febbraio, in conferenza stampa, l’assessore Gallera parlò di «probabile nuovo focolaio» a Nembro. E sempre quel giorno, per la prima volta, la Val Seriana spuntò nella corrispondenza «privata», informale, tra Regione e Palazzo Chigi. Sabato 29 febbraio i contagiati bergamaschi erano già 103, 25 solo a Nembro. Il martedì successivo, i contagi erano 372 in tutta la provincia, 58 a Nembro, 26 ad Alzano. Dieci giorni prima, a Codogno, erano meno di 58.
In una nota, il Comitato tecnico scientifico scrisse al governo che «l’R0 nei due paesi bergamaschi è superiore a 1. Il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della “zona rossa” al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà, in futuro, essere applicato in contesti analoghi». Il 4 marzo, il governo chiese un approfondimento al Cts: «in tutta la Lombardia» - fu la risposta - il quadro si sta aggravando». Il 5 marzo l’Istituto superiore di sanità insistette con una nota del suo presidente Silvio Brusaferro».
Le ultime fasi
Il 6 marzo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte incontrò di nuovo i tecnici. Ma nel governo passò la linea del superamento delle distinzioni tra zona rossa e arancione. Si scelse dunque di chiudere tutto, con il decreto che verrà firmato il 7. Proprio a quei giorni, in una interna, Palazzo Chigi fece riferimento alle competenze: «Quanto alle competenze e ai poteri della Regione Lombardia, si fa presente che le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti». (Corriere della Sera)
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