Il Massacro di Ponticelli raccontato dalla criminologa Luisa D'Aniello. Un mistero lungo 40 anni e tre ragazzi, oggi tre uomini, che hanno subito di tutto per un delitto o meglio uno degli omicidi più crudeli che la storia ricorda, che forse non hanno mai commesso.

Barbara Sellini e Nunzia Munizzi

La storia

Era il 2 luglio del 1983, quando nel quartiere napoletano di Ponticelli, esattamente nel Rione Incis, si commette un'omicidio che passerà come il più ferrato, il più incongruente e il più atroce che la storia recente e meno possa mai ricordare.

Due bambine di 7 e 10 anni, Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, per motivi oggi ancora sconosciuti, furono rapite, violentate, torturate e uccise. E come se non bastasse date alle fiamme. I loro corpi carbonizzati e abbandonati sotto il ponte in costruzione della sopraelevata che oggi conduce verso Napoli, centro direzionale e tangenziale. In un lembo di terra dove ancora si coltivava e che confina con la vicina Volla.

Due mesi di indagini condotte in modo a dir poco discutibile. Ma il quartiere, il popolo voleva l'assassino, la camorra il suo territorio per continuare a condurre i propri affari. E così in due mesi si scovarono gli assassini. E dopo tre anni di processo Ciro ImperanteGiuseppe La Rocca e Luigi Schiavo furono condannati come "i mostri di Ponticelli".

L'arresto di Ciro ImperanteGiuseppe La Rocca e Luigi Schiavo

Tre giovani della zona, che, durante tutti i 27 anni di detenzione hanno sempre urlato la propria innocenza. E che ancora oggi, a distanza di 40 anni da quel terribile luglio 1983, si dichiarano innocenti. E a onor del vero le indagini che hanno portato alla loro condanna risultano molto incongruenti.

Una revisione del processo chiesta già per ben tre volte e sempre negata. Oggi si potrebbe arrivare ad una vera svolta nel caso che confermerebbe non solo la loro innocenza. Ma, e, soprattutto la presenza di un clamoroso errore giudiziario. Al quale la criminalità organizzata ha partecipato a tal punto da ricoprire un ruolo fondamentale nella vicenda.

Il caso arriva oggi a Le Iene e riaccende gli animi di un'opinione pubblica che certo non ha dimenticato quelle atrocità, ma che per 40 anni si è vista zittire dal sistema.

Ciro, Giuseppe e Luigi: «Siamo innocenti». Da Imposimato alla dott.ssa Luisa D'Aniello: «Non sono stati loro. E' tutto da rifare»

Ferdinando Imposimato (magistrato, politico e avvocato italiano, nonché presidente onorario aggiunto della Corte suprema di cassazione) è stato tra i primi a sostenere l'incongruità sia del caso, che delle modalità della conduzione delle indagini che portarono poi alla detenzione di Ciro, Luigi e Giuseppe.

Vent'anni fa, una giovane criminologa ed oggi anche psicologa giuridica e psicoterapeuta, la dott.ssa Luisa D'Aniello, si imbatte nel caso delle due bimbe Barbara e Nunzia. Una storia che conosceva bene o meglio ricordava, vista la sua residenza nella vicina Volla, paese al confine con Ponticelli.

«Da bambina - spiega D'Aniello - avevo vissuto l'esperienza di queste bimbe sul territorio, ho la loro stessa età. Dovevo scrivere la tesi, quello era il mio caso, o almeno lo sentivo mio, della mia gente, del mio territorio. Così, convinta che fosse stato il giudice Imposimato a condannare i tre ragazzi, mi recai da lui.

Rimasi quasi di stucco quando mi disse che, non solo non era stato lui, ma che a suo parere quei tre giovani non c'entravano nulla con l'omicidio di Barbara e Nunzia. Mi invitò a leggere tutte le carte del caso. Dalle dichiarazioni rilasciate a carabinieri e polizia, agli atti messi a verbale durante le indagini fino al processo finale.

Feci tutti i riscontri possibili, analizzai ogni singola parola ed effettivamente nelle carte apparivano delle incongruenze incredibili oltre ad una versione dei fatti estremamente fantasiosa».

Ferdinando Imposimato e Luisa D'Aniello

«Così tornai dal giudice Ferdinando Imposimato e lo pregai di occuparci di questo caso insieme. Con noi anche l'avvocato Eraldo Stefani. Incominciammo con il figlio e con l'investigatore Giacomo Morandi a rintracciare ogni singola persona che compariva in quei verbali. A bussare alle porte di chiunque nel quartiere del Rione Incis, in cerca di nuove testimonianze, ricordi per ricostruire tutto.

Senza i miei compagni di viaggio e soprattutto senza il giudice Imposimato (per il quale nutro una stima e un affetto enorme, era una persona straordinaria ed è stata molto importante per me sia per quanto concerne la mia crescita professionale che l'aspetto umano), non sarei arrivata da nessuna parte. Il territorio, all'epoca, non era ancora pronto, cercavano di demotivarmi. Per molti io, noi eravamo dei folli che volevano proteggere tre mostri».

Ma poi qualcosa è cambiato. Vengono fatte delle indagini, ancora più approfondite di quelle condotte da Giulio Golia de Le Iene. Potremmo dire quasi estenuanti che convinsero sempre più la dott. Luisa D'Aniello dell'innocenza di quei tre ragazzi. Troppe cose non tornavano:

«Indagini lacunose, interrogatori violenti, evidenze probatorie trascurate e in contrasto con l'ipotesi accusatoria.

Tutti elementi che portarono, inevitabilmente, ad una condanna ingiusta basata su una versione univoca e fantasiosa dei fatti.

Come si può credere che tre giovani commettono un delitto così atroce e poi se ne vanno in una discoteca a Volla a vantarsene con un loro coetaneo, chiedendogli di tacere? E ancora: nessuno dei tre ragazzi era biondo con lentiggini, come l'identikit fornito dall'allora piccola Silvana Sasso, la sopravvissuta. Senza contare che la macchina di Giuseppe era bianca, non blu come quella descritta. E che soprattutto la prova che ha poi inchiodato i tre, ovvero quel vestitino secondo gli inquirenti rinvenuto nell'auto, non è mai stato analizzato».

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«Anzi - aggiunge - si è scoperto essere uno straccio che riportava macchie di grasso e non di sangue come invece fu venduto alla stampa.

Così raccolte tutte le nostre prove che screditavano quanto vi era agli atti, chiediamo una revisione del processo che prima fu accolta e poi respinta perché i testimoni non attendibili, era passato troppo tempo».

E ancora prosegue:

«Passano gli anni, ma non molliamo e continuiamo la nostra battaglia 'solitaria'. Succede poi che sempre per motivi lavorativi, inerenti ad una interrogazione parlamentare per un' altra vittima di un altro caso, conosco l'onorevole Stefania Ascari, alla quale io e l'investigatore Giacomo Morandi sottoponiamo nuovamente il caso di Ponticelli. E lei ci consiglia che bisogna subito aprire un'inchiesta antimafia.

Un'altra trafila assurda dove la caduta del governo ci ha penalizzato, ma comunque siamo riusciti a recuperare le prove tangibili sia di una certa "infiltrazione" della criminalità organizzata nello svolgimento delle indagini condotte all'epoca dalla Caserma Pastrengo di Napoli, sia di un caso assolutamente incongruente in tutte le sue parti. In definitiva ci si trovava dinnanzi ad un probabilissimo errore giudiziario. Abbiamo passato l'intera estate 2022 a scrivere la relazione che fu poi presentata alla Commissione Antimafia e votata all'unanimità lo scorso settembre».

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Quando parla di "infiltrazione" della criminalità organizzata, che ha dato un via libera verso quella che potrebbe essere la revisione del caso in tutte le sue parti, cosa intende?

«L'allora Caserma Pastrengo di Napoli, diciamo che in buona fede, diede ampio spazio ai pentiti dell'epoca. Potevano circolare liberamente all'interno dei loro uffici, portavano le proprie compagne, le mogli... Addirittura è stato riscontrato che proprio da quegli uffici è partita una telefonata di un'estorsione. insomma quei pentiti non erano così limpidi come si pensava. E non davano un contributo onesto allo Stato.

Mario Incarnato, uno dei pentiti dell'epoca (che tra l'altro è stato uno di quelli che accusò Enzo Tortora, il quale a sua volta scrisse una lettera a Imposimato dove gli chiedeva di interessarsi ai tre mostri di Ponticelli perchè incastrati come lui ma innocenti) faceva parte proprio di quella schiera di ex camorristi. E conosceva bene Mastrillo (il testimone chiave che ha mandato al patibolo Ciro, Giuseppe e Luigi) in quanto del suo stesso quartiere, il Rione Incis».

https://twitter.com/redazioneiene/status/1635038073435357184?s=20

Mastrillo, infatti, dopo interrogatori alquanto privi di informazioni, ha un prodigioso recupero di memoria improvviso e dopo esser stato chiuso in una stanza con Incarnato, racconta la storia che ha incastrato i tre giovani. Una storia che fino a quel momento non aveva mai menzionato».

E perchè Incarnato avrebbe indotto questo recupero di memoria improvviso nel giovane Mastrillo? Cosa ci guadagnava?

«Il fratello di Mario Incarnato gestiva una piazza di spaccio proprio nel Rione Incis e quell'andirivieni di polizia, carabinieri, magistrati... certo non faceva bene agli affari di famiglia. Ma lui non fu certo il solo a entrare in gioco.

Basta pensare che la camorra dell'epoca si preoccupò di fare una sorta di processo parallelo su quanto accaduto a Nunzia e Barbara dove decretarono che i tre giovani erano innocenti. Tanto che un emissario di Raffaele Cutolo rassicurò in carcere Ciro, Giuseppe e Luigi dicendogli che lì dentro 'avevano la loro protezione'.

Esiste un codice d'onore voluto da Cutolo, secondo il quale i bambini non si toccano e chi lo fa deve pagare. In 27 anni di carcere Ciro, Giusepe e Luigi hanno dormito nelle proprie celle senza che nessuno gli torcesse un cappello. Anzi furono picchiati ma dalla polizia penitenziaria».

Il Massacro di Ponticelli - Ma questo non fu un caso isolato

«Nel corso delle loro detenzioni, i tre accusati dell'omicidio delle bambine, incontrano ancora altri affiliati della camorra Pasquale Galasso e Andrea de Li Paoli. I quai confermano nuovamente la loro innocenza e che potevano stare tranquilli. A distanza di poco tempo arriva anche la lettera di Ciro Starace, che collaborerà con la giustizia, ma che i fatti da lui sottoscritto non erano attendibili per il caso di Ponticelli.

E ancora ò sindaco ovvero Ciro Sarno che sostiene a spada tratta la loro innocenza, indicando un'altra persona come autore di quell'atroce delitto: Luigi Anzovino. Che per profilo psicologico e per il precedente che lo vede accusato di pedofilia e violenza nei confronti della sorella colpita con diverse pugnalate simili a quelle inferte alle due bambine, corrisponderebbe all'assassino. Purtroppo però è morto e all'epoca gli inquirenti non hanno mai indagato in modo approfondito».

Oggi Ciro, Luigi e Giuseppe, sono per così dire degli uomini liberi, hanno scontato la pena e in qualche modo seppur con difficoltà, possiamo dire che si sono rifatti una vita anche se nessuno gli ridarà mai in dietro quella persa. Ma cosa si aspettano da questa probabile revisione del processo? Cosa chiedono?

«Sono circa 20 anni che oramai seguo questo caso e che li conosco, sono tre persone meravigliose ed oggi quando parlo con loro è come se quella detenzione non l'avessero mai fatta. Ma se li guardi bene negli occhi ci vedi tutto il dolore, la rabbia di vite strappate, le loro e quelle di Nunzia e Barbara. Ci sono cinque persone che da 40 anni attendono che giustizia sia fatta. Per Luigi, Ciro e Giuseppe è un marchio 'i mostri' che pesa sulle loro teste quanto il ricordo serrato di quelle due bambine ridotte in cenere».

Il Massacro di Ponticelli - Cosa ha rappresentato e cosa rappresenta per Lei questo caso?

«Al di là del suo essere uno degli omicidi più crudeli della storia, in quanto un caso analogo non esiste, per me è stato ed è ogni volta un viaggio nel passato importante. Seguo ed ho seguito diversi casi ed ognuno è rilevante. Ma indubbiamente questo come detto poc'anzi ha una connotazione particolare perché riguarda il mio territorio. Vede anche i primi tempi se da un lato non era facile rivivere quelle situazioni, complice anche la mia giovane età; dall'altro c'era però la determinazione nel voler comprendere come si può giungere ad un atto simile, quella voglia di verità. Che spero finalmente arrivi in modo da far sì che Ciro, Giuseppe e Luigi siano davvero degli uomini liberi e che Barbara e Nunzia trovino la pace».

Da Luisa D'Aniello a Le Iene fino a Giorgia Meloni

La "iena" Giulio Golia dopo il servizio andato in onda la scorsa domenica, al quale ha preso parte proprio la criminologa Luisa D'Aniello (insieme al suo compagno di viaggio Giacomo Morandi) ha raggiunto il Presidente del Consiglio per sottoporle l’inchiesta inerente al Massacro di Ponticelli.

La Premier Giorgia Meloni raccoglie l’invito di Giulio Golia e promette nuove analisi ma anche e soprattutto chiarezza: «Mi ha ufficialmente convinto ad occuparmene. Fermo restando che le sentenze si rispettano e che abbiamo rispetto per la Magistratura. Mi ha colpito il caso, mi hanno colpito loro e mi colpisce il fatto che, semmai fosse così, c’è un altro colpevole. In uno Stato giusto, se hai degli elementi oggettivi, affronti eventuali errori. È possibile che magari esca fuori qualcosa che prima non c’era. Me lo studio e vedo cosa si può fare».

Che sia questa la volta giusta? Che finalmente si arrivi a capo di una storia lunga 40 anni? E che sia fatta giustizia per Ciro, Giuseppe e Luigi? E soprattutto per due bambine innocenti morte in un dì d'estate all'ombra del Vesuvio.

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