donne dell'isis

Una 19enne di origine kenyota, residente nel Milanese, è stata fermata all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) mentre cercava di imbarcarsi su un volo per Istanbul, da dove avrebbe poi raggiunto la Siria per unirsi all’Isis. L’accusa mossa contro di lei è di arruolamento con finalità di terrorismo internazionale. Il fermo, avvenuto il 30 novembre, è stato convalidato ieri dal Gip, che ha disposto la custodia cautelare in carcere.

Indagini e monitoraggio online

L’inchiesta, avviata dalla Digos di Milano e dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, ha preso il via a ottobre grazie al monitoraggio degli ambienti jihadisti online. Gli investigatori hanno individuato un profilo social in cui venivano pubblicati video di propaganda radicale, che hanno portato all’identificazione della ragazza.

Un processo di radicalizzazione accelerato

Secondo gli inquirenti, la giovane aveva intrapreso un rapido processo di radicalizzazione ideologico-religiosa, alimentato da un difficile contesto familiare. Ospite di una comunità di accoglienza, aveva maturato l’intenzione di recarsi in Turchia e, successivamente, in Siria per unirsi a formazioni jihadiste attive nella regione.

Il piano per raggiungere la Siria

La 19enne aveva già stabilito contatti con numeri telefonici in Medio Oriente, riconducibili a persone pronte a facilitare il suo arrivo. Aveva più volte tentato di contattare le rappresentanze diplomatiche turche in Italia e consultato siti di voli per Istanbul. Il piano si era concretizzato il 29 novembre, con l’acquisto di un biglietto di sola andata da Orio al Serio per il giorno successivo.

Il fermo in aeroporto

Il 30 novembre, dopo aver effettuato il check-in e mentre stava per imbarcare i bagagli, la ragazza è stata bloccata dalle forze dell’ordine. La sua intercettazione tempestiva ha impedito che lasciasse il territorio italiano.

Il ruolo dei social e il soprannome “muhajirat”

Dall’analisi del suo telefono, gli investigatori hanno scoperto che la giovane si faceva chiamare “muhajirat”, termine che significa “la migrante”. Il dispositivo conteneva tracce di un interesse per l’uso di armi da fuoco e prove di contatti con un uomo in Turchia, che l’attendeva al suo arrivo.

Il caso sottolinea l’importanza del monitoraggio continuo delle attività online legate all’estremismo. L’intervento rapido delle autorità italiane ha permesso di prevenire un potenziale rischio per la sicurezza nazionale e internazionale.

La vicenda evidenzia i pericoli legati alla radicalizzazione giovanile e alla propaganda jihadista online. La giovane kenyota rimane in custodia cautelare, mentre l’indagine prosegue per approfondire i legami e le dinamiche dietro il suo piano. Un caso che invita a riflettere sull’importanza di strumenti preventivi e di educazione contro l’estremismo.

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