Due contagiati ripartono da Roma
Nono piano del palazzo della Regione Lazio. Su un lungo tavolo ci sono fogli, tablet e caffè, che qui scorre a litri visto che non c'è tempo per fermarsi.
Questa è la sede della task force sul coronavirus.
Anzi, come ormai li chiamano nei corridoi, qui ci sono «i cacciatori di virus», un gruppo di medici ed esperti che da settimane sta lavorando senza sosta per individuare e analizzare tutti i casi sospetti.
I casi sospetti
In sintesi: ipotizziamo che da un pronto soccorso arrivi la segnalazione di un caso sospetto.
In prima battuta, se ci sono elementi concreti che giustifichino il sospetto inizia il lavoro degli esperti dello Spallanzani che devono procedere con i test.
In parallelo, però, comincia l'attività meticolosa di approfondimento della task force che indaga sui luoghi frequentati, i mezzi di trasporto utilizzati, le persone incontrate.
Si passano al setaccio biglietti aerei, liste dei passeggeri, prenotazioni negli hotel, si ascoltano i soggetti sotto esame.
Quasi sempre è un isolamento a domicilio, in cui la persona deve restare a casa, risponde a una chiamata periodica a un telefono fisso e riceve la visita di un medico.
L'obiettivo primario è fermare la diffusione del contagio e solo in questo modo, anche grazie alla collaborazione sul territorio delle Asl, ci si fa trovare pronti se c'è un caso positivo»
Oltre a loro, della task force fanno parte anche i dottori Alessandra Barca, Enrico Di Rosa, Giuseppe Spiga, Antonio Miglietta, Stefania Iannazzo e Domenico Ientile.
E nella task force, che normalmente lavora a 360 gradi su tutte le segnalazioni legate alle malattie infettive, fanno parte anche Spallanzani, Bambino Gesù, 118, le direzioni regionali.
D'Amato coordina la task force e ripete:
«Il sistema di vigilanza messo in piedi ci consente di rispondere in termini molto rapidi».
In parallelo, anche su richiesta del Ministero della Salute che ha coinvolto tutte le regioni, sono stati individuati posti letto in strutture differenti dallo Spallanzani.
E s'individuano strutture in cui isolare chi va in quarantena, così come avviene al Celio e alla Cecchignola per chi è tornato da Wuhan. In caso di quarantena ampliata a chi proviene anche dal resto della Cina servirebbero molti più locali.
D'Amato però lancia un invito:
«Chi sospetta di essere stato infettato, non vada in pronto soccorso o dal medico. Si rivolga telefonicamente al 1500, al 112 o al proprio medico, dove avrà le informazioni necessarie. Se servirà, sarà inviata un'ambulanza sul posto».
(IlMessaggero)