PONTICELLI. "Mostri o innocenti?” O peggio ancora un gravissimo errore di giustizia?

Troppi fatti contrastanti; troppe testimonianze ritrattate; depistaggi; un testimone chiave che dice il contrario di tutto; modi a dir poco discutibili degli inquirenti dell'epoca di interrogare sospettati e non. Una Caserma, quella di Pastrengo di Napoli, dove accadono cose molte strane e dove all'interno di essa girava quasi indisturbato un ex camorrista, collaboratore di giustizia Mario Incarnato; ed infine Raffaele Cutolo e gli esponenti de La Nuova Famiglia che a gran voce dichiarano: "quei ragazzi sono innocenti".

E nessuno mette in pratica il codice d'onore voluto da Cutolo, secondo il quale i bambini non si toccano e chi lo fa deve pagare. In 27 anni di carcere Ciro, Giusepe e Luigi hanno dormito nelle proprie celle senza che nessuno gli torcesse un cappello.

Colpevoli o innocenti fino a prova contraria?

Basterebbe questo per insinuare il dubbio. Forse, quei tre giovani accusati di un delitto così atroce e di un caso di cronaca nera ai danni di due bambine (tra l'altro non vendicato dal codice d'onore della camorra), sono davvero estranei a questa terribile vicenda e hanno pagato qualcosa che in realtà non hanno commesso?

E a quanto pare è bastato. Tanto che alcuni protagonisti dell'epoca come ex marescialli dei carabinieri, nonché lo stesso magistrato Arcibaldo Miller che chiuse il caso con l'arresto di Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, chiamato in causa da Giulio Golia, ammette che quando si trovò davanti quei tre ragazzi, fece fatica a credere che fossero stati loro ad uccidere Barbara Sellini e Nunzia Munizzi. In quanto, in base al modus operandi dell'omicidio, pensava per lo più ad un solo uomo ed indubbiamente uno instabile mentalmente. Cosa che non erano certo Ciro, Luigi e Giuseppe.

A cercare di far luce su quello che è passato alla storia e alle cronache come "Il massacro di Ponticelli”, Giulio Golia de Le Iene. Aiutato nel racconto da Francesca Di Stefano, dalla criminologa Luisa D'Aniello, l'investigatore Giacomo Morandi e la giornalista Luciana Esposito autrice del libro Nell'inferno della camorra di Ponticelli.

Il massacro di Ponticelli - Ma facciamo un passo in dietro nel tempo, esattamente 40 anni fa: cosa è accaduto quel lontano 2 luglio 1983?

Nella notte tra il 2 e il 3 luglio del 1983 si consuma a Ponticelli ed esattamente nel Rione Incis, uno dei delitti più atroci della cronaca nera. Le vittime? Due bambine di appena 7 e 10 anni, Barbara Sellini e Nunzia Munizzi abusate sessualmente e poi uccise in modo brutale: i loro corpi carbonizzati.

L’indagine, condotta sia dalla Polizia che dai Carabinieri, ha portato all’accusa di Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, condannati poi in via definitiva per l’omicidio nel 1987.

Tre giovani non ancora 20enni all’epoca dei fatti e che non avevano nessun precedente problema con la giustizia. Anzi uno dei tre aveva appena vinto il concorso nella Guardia di Finanza e dopo l'estate sarebbe dovuto partire.

Condannati tutti e tre all'ergastolo, nel 2010, ovvero dopo ben 27 anni di detenzione, tornano liberi grazie a premi legati alla buona condotta.

Durante l'intera detenzione, i tre imputati si sono sempre dichiarati innocenti, chiedendo più volte la revisione del processo. La quale però gli è stata sempre negata, nonostante l'intervento e la battaglia quasi personale messa in atto da Ferdinando Imposimato, (magistrato, politico e avvocato italiano, nonché presidente onorario aggiunto della Corte suprema di cassazione) che ha sempre creduto nell'innocenza di Ciro, Giuseppe e Luigi, come asserisce lo stesso magistrato Miller, ovvero colui che ha firmato per la carcerazione dei giovani.

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A distanza oramai di 40 anni, però, qualcosa cambia. Ad oggi, infatti, l’intervento della Commissione Antimafia, poggia sul tavolo nuove importanti considerazioni e desidera portare alla luce eventuali carenze nell’investigazione. In modo da indagare in profondità sulle dichiarazioni degli imputati, in quanto diversi aspetti della vicenda non sembrano essere mai stati chiariti completamente.

L’onorevole Stefania Ascari della Commissione Antimafia, parla, infatti, di una probabile presenza di un grave errore giudiziario.

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L’ipotesi avanzata dalla Commissione Antimafia riguarda per lo più alcune ombre della Camorra nella vicenda. Le prove che hanno portato all’arresto e alla condanna dei tre ragazzi si basano principalmente sulle testimonianze. O meglio su un testimone chiave: Carmine Mastrillo, che avrebbe condotto gli inquirenti all’arresto.

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Ma i testimoni de Il Massacro di Ponticelli sono davvero tanti peccato che all'epoca dei fatti molti sono stati arrestati per falsa testimonianza

O peggio molti sono stati intimati dagli inquirenti a non fornire e a ritrattare quelle che per quest'ultimi erano false testimonianze. Eh già perchè dietro quello che potrebbe essere uno dei più gravi errori della giustizia italiana, si nasconde anche un orrore. Quello delle forze dell'ordine e dei loro modi barbari di estorcere confessioni e/o testimonianze.

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A distanza di 40 anni, la gente del quartiere, del Rione Incis, ha però tanto da dire e non ha più paura delle "mazzate" e delle "percosse" degli inquirenti e accetta volentieri di parlare con Giulio Golia e dire la verità.

Una verità forse taciuta e manomessa per troppi anni. Perchè all'epoca dei fatti i testimoni che avevano un alibi erano quelli giudicati non credibili.

L'unica invece testimonianza giudicata assolutamente vera e inconfutabile è stata quella di Carmine Mastrillo, un ragazzo disabile che ha condotto i Carabinieri presso tutte le persone che conosceva e che potevano avere avuto un ruolo nella vicenda.

Dopo 2 mesi di indagini e oltre 10 verbali, Mastrillo ha raccontato di essere stato raggiunto dagli accusati intorno alle 20.30 della sera dell’omicidio. Secondo la versione del testimone, i tre gli avrebbero raccontato il crimine commesso, intimandogli di mantenere il segreto.

Il Massacro di Ponticelli - Cosa c'entra la Camorra?

A spiegarlo ai microfoni de Le Iene è la giornalista Luciana Esposito che da sempre si occupa dell' 'affasciante' mondo di Ponticelli se così lo possiamo definire, tanto da dedicargli un libro ('Nell'inferno della Camorra di Ponticelli'), nel quale esplicita tutti i suoi dubbi sulla vicenda e della conclusione delle indagini.

Luciana evidenzia come all'epoca dei fatti esistesse un preciso codice d'onore da rispettare. Negli anni del delitto, infatti, la cultura camorrista del boss Raffaele Cutolo doveva rispettare un suddetto codice d’onore ben preciso, che imponeva la pena di morte per infanticidi e pedofili.

A tal proposito, Luciana menziona per l'appunto l’omicidio di Raffaella Esposito (la bimba di 13 anni trovata morta sul fondo del pozzo nelle campagne di Ottaviano nel 1981)  e la conseguente uccisione dell’indiziato del delitto, che la Camorra rivendicò con una telefonata al giornale Il Mattino «Giustizia è fatta». Lo stesso Raffaele Cutolo, anni dopo, ne ha parlato nelle aule di tribunale, dicendosi orgoglioso di aver fatto il giustiziere definendo quell'omicidio «Un atto di giustizia dovuto».

E qui sorge la domanda: com’è possibile che nessun mafioso abbia mai fatto del male ai condannati? E la risposta è presto data: la Camorra li riteneva innocenti e aveva dato ordine agli altri detenuti che non dovevano essere toccati. A conferma di ciò le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Ciro Starace pronto a testimoniare.

Secondo, però, le dichiarazioni di Alfonso Furgiuele l’avvocato che ha rappresentato nel processo le famiglie delle vittime, spiega che non c'è stata nessuna ripercussione da parte della mafia sugli imputati proprio perché l’ordinamento penitenziario era a conoscenza del rischio per determinati detenuti, ai quali era garantita una protezione mirata.

Cosa presto smentita da un parente della piccola Nunzia. Ai tre giovani detenuti non era garantita nessuna protezione da parte degli agenti penitenziari, anzi tutt'altro. Pare che loro stessi lasciassero le celle aperte in modo da far giustiziare Ciro, Luigi e Giuseppe, ma che ciò non sarebbe mai avvenuto perchè erano i detenuti a rifiutarsi di punire dei presunti innocenti per ordine di Cutolo.

Voglio la verità, per le nostre famiglie e per i genitori delle bambine morte”

E' il grido di dolore di Giuseppe e dei suoi amici urlato durante la Conferenza Stampa di qualche settimana fa inerente alla nuova richiesta di revisione del processo con l'unico scopo di essere scagionati totalmente da un'accusa infamante e arrivare alla punizione del vero colpevole. Dal canto suo invece la Commissione Antimafia, ha voluto sottolineare anche i presunti abusi delle forze dell’ordine e sul ruolo depistante dei pentiti, “abituati a vendersi al miglior offerente” come si legge nella relazione.

Il ruolo dei collaboratori di giustizia in questa vicenda è infatti alquanto strano. Non a caso la Caserma Pastrengo - teatro di tutti gli arresti - in quel periodo soprannominata l'hotel dei pentiti. E stando sempre a quanto dichiarato dai tre imputati, uno di questi collaboratori di giustizia, all’inizio scambiato per un agente in borghese, li avrebbe aggrediti fisicamente per portarli a una confessione; e non finisce qua sarebbe sempre ad influenzare la testimonianza di Mastrillo, il testimone chiave. Si tratta del pentito Mario Incarnato.

Ciro, Giuseppe e Luigi vittime di uno spietato linciaggio pubblico giudiziario e mediatico come Enzo Tortora?

Era luglio, da lì a poco le ferie, il popolo, la gente chiedeva giustizia. La Camorra oltre al suo codice d'onore aveva i suoi affari da seguire proprio in quella zona dove sono state ritrovate morte "appicciate” Barbara e Nunzia. Il "via vai" di forze dell'ordine non era molto gradito e così si cerca di chiudere il caso il prima possibile mandando in pasto ai leoni tre giovani ragazzi. Possibile? Possibile che questa possa essere un'altra versione della storia mai presa in considerazione?

Giulio Golia cala il sipario lasciando nella mente di ognuno questo atroce e insidioso dubbio e una frase del deceduto Enzo Tortora:

“Io sono innocente, spero che lo siate anche voi”.

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