Leone Melillo Roberto Calderoli
Leone Melillo e Roberto Calderoli

L’ “autonomia differenziata”, rivendicata dalle Regioni a statuto ordinario, si imbatte nel combinato disposto degli articoli 116, terzo comma, e 117 della Costituzione, ed accede ad una dimensione che non può comprendere chi afferma: “non voglio morire europeo”. 

Nulla di sorprendente.

L’autonomia differenziata, rivendicata dalle Regioni a statuto ordinario, non si risolve nella previsione, sancita dall’art. 116, terzo comma, della Costituzione perché, avvalendosi dell’art. 117 della Costituzione, che prevede le materie concorrenti, a cui accedono le Regioni a statuto ordinario, afferma un’ “unità organica e mediata di interessi particolari”, su base regionale. Una dimensione che non può travolgere l’“organica unità dello Stato”.

Basterà rammentare che Vittorio Emanuele Orlando propose, “durante una seduta dell’Assemblea costituente”, un “ordine del giorno”, “volto a eliminare dalla Costituzione, ovvero a contenere in un preambolo, le norme relative ai rapporti etico-sociali, alla famiglia, alla scuola, alla salute, all’arte e alla scienza”. Una proposta alla quale “si oppose Costantino Mortati”, “affermando così la forza del potere costituente, quel terribile potere che Orlando temeva e dal quale rifuggiva”.  

Una dimensione che indusse Orlando, con la prefazione che legge la Costituzione della Repubblica Italiana, a rammentare l’Imperatore Giustiniano, la “prodigiosa codificazione del suo Corpus Juris”, la “sua pretesa di sopprimere ogni maniera di interpretazione obiettiva”, per poi evidenziare come “la nuova Costituzione d’Italia ponga, appena nata, la questione categorica ed ardua” di “apprestare i mezzi”, “atti all’interpretazione di quella fonte di diritto”, “la più solenne, almeno formalmente, nella vita dei popoli moderni”. Una “posizione anti-costituzionale – su cui si sofferma Sabino Cassese – tenuta ferma anche all’Assemblea costituente.

Una premessa che si dischiude al mio intervento. 

L’effettivo “decentramento interno degli stati nazionali” conduce ad una “nuova affermazione di autonomie culturali, politiche e amministrative di regioni e di comuni (regionalismo e comunalismo), ed alla difesa delle minoranze etniche o linguistiche, storicamente differenziatesi dalla nazione di cui oggi fanno parte”.

Una “sfida storica per il Paese nel segno di responsabilità e trasparenza, per garantire a tutti i cittadini diritti e servizi adeguati, risolvendo sia la questione meridionale, sia quella settentrionale”.

Una possibilità giuridica che consente di garantire anche un “rafforzamento” della democrazia nazionale, nel “rispetto” dell'Unione Europea.

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