Le autonomie locali? Una nuova visione del rapporto tra diritto e politica
AUTONOMIE LOCALI. Il Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha evidenziato la convinzione che “dietro alla resistenza di una certa politica”, “contraria al progetto di una maggiore autonomia per le Regioni, le Province ed i Comuni”, “c’è la paura delle responsabilità”. Una convinzione avvalorata dal dibattito politico, che avverte lo squilibrio profondo fra diritto e legge. Sembra evidenziarlo, ancora una volta, il confronto tra Stefano Bonaccini e Roberto Calderoli.
Una riflessione che induce a soffermarsi sui mezzi di “resistenza collettiva legale”, “morali o materiali” – evidenziati da Vittorio Emanuele Orlando con l’opera “Della resistenza politica individuale e collettiva”, spesso trascurata – per poi attardarsi sulla volontà espressa dalle “maggioranze” e dai “partiti”: viene delineato un “criterio” di “convenienza”, di “opportunità” che vuole trovare una soluzione a “quello stato di cose, a quello squilibrio profondo fra diritto e legge”.
Le autonomie locali - Qual è dunque la soluzione più adatta a tale contesto?
L’attenzione deve, inizialmente, soffermarsi – come sembra evidenziare Roberto Calderoli – su “due distinti aspetti”: le “norme generali che si ricavano dalla scienza”, i “principi particolari che governano il diritto pubblico di uno Stato”.
Una convinzione che deve riconoscere un valore fondamentale anche all’opinione pubblica perché – come chiarisce Orlando – la “semplice esistenza di una convinzione”, che si appella alla “libera volontà individuale”, “è una causa di grave debolezza per l’autorità dello Stato, che viene a trovarsi in un rapporto di dipendenza verso le volontà individuali, che sono poi le volontà di maggioranze e di partiti, quando non siano di fazioni o di sette”.
Una prospettiva che delinea una nuova visione del rapporto tra diritto e politica.
L’attenzione si sofferma sulle associazioni politiche che – già secondo Orlando – se “prima erano vere collettività organiche, avevano funzioni politiche, erano l’espressione ufficiale degli interessi dei componenti”, erano poi diventate “mere aggregazioni di individui, che non partecipano direttamente ad alcuna funzione politica, né rappresentano interessi, ma piuttosto sono gli organi di un’opinione”, “più atte all’ufficio di farsi organo dello spirito pubblico generale in una nazione e mezzo poderoso a far sentire i bisogni o i desideri, o le censure verso i governanti”.
Una possibilità che si sofferma, poi, sullo “spirito pubblico generale”, che sembra compromesso dalle “riunioni” e dalle “assemblee popolari”, perché “la loro azione” ‒ come evidenzia Vittorio Emanuele Orlando ‒ non sembra “organizzata e continua come quella delle associazioni, ma nei momenti di sovraeccitazione popolare può riuscire grandemente più energica”, anche se “raramente ‒ precisa Orlando ‒ raggiungono una tale importanza” e si “è troppo abusato” di questa possibilità.
Una convinzione che assume un’avvertenza
Le “riunioni” e le “assemblee” popolari – possibilità politiche diverse dalle “associazioni politiche” che comprendono lo “spirito pubblico generale” – “assai di frequente, lungi dall’essere effetto di una manifestazione spontanea ed energica dello spirito pubblico, sono stentatamente messe insieme da un partito, il quale, generalmente essendo sparuta minoranza, cerca di supplire al numero e alla serietà dei propositi con lo schiamazzo e lo scandalo”.
Questa valutazione, che si attarda sulla “resistenza collettiva legale” dei “mezzi morali”, chiarisce il limite intrinseco rappresentato dai partiti politici, che sembra avvertire anche la riforma delle autonomie locali, proposta dal Ministro Calderoli.
Anche in questo caso, sembra che il “diritto” possa comportarsi “in una di queste due maniere: o cede alla vecchia ma non mai del tutto domata tendenza metodica di fondersi e di confondersi con la politica ed entra nel dibattito dando ai concetti ed agli argomenti politici fallaci apparenze giuridiche; o si chiude in un silenzio agnostico, come se il compito di esso abbia principio soltanto dopo che gli avvenimenti siano pervenuti ad una soluzione concreta, offrendo ai giuristi un preparato istituzionale su cui questi, solo allora, possano concentrare le lenti dei loro microscopi tecnici”.
Le autonomie locali - Una possibile soluzione?
Il “diritto – come evidenzia chiaramente il tema dell’autonomia regionale – è manifestazione organica della vita dei popoli, come il pensiero, come la lingua: improntato vigorosamente ai bisogni, all’indole, alla storia di quelli. Supporre che sia l’effetto di una scelta cosciente e ponderata, oltre che non rispondente alla verità, annullerebbe il concetto di quella forza immanente che può accompagnare il diritto solo quando lo si considera come effetto di uno sviluppo naturale e necessario”. Come evidenzia Orlando, “da ciò segue chiaramente che il legislatore trova non crea”.
Di Leone Melillo (Università degli Studi di Napoli “Parthenope” Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio”, Tirana).