Il reddito di cittadinanza potrebbe cambiare nome: il governo Meloni potrebbe ribattezzarlo infatti come reddito di sussistenza, rivedendone funzionamento e platea dei beneficiari. Una mossa politica ma non solo. L’intento è di rivedere completamente la misura, riconoscendo un beneficio economico solamente alle famiglie in difficoltà economica dove non ci sono persone in condizione di poter lavorare. A cambiare sarebbero anche le istituzioni incaricate di gestire i pagamenti del reddito di cittadinanza: a occuparsene, infatti, sarebbero i Comuni, e non più l’Inps, in quanto ritenuti maggiormente adeguati a verificare chi davvero vive in una condizione di difficoltà. Per il momento, però, la riforma potrebbe essere contenuta visto che c’è poco tempo per pensare a come modificare la misura senza correre il rischio che ci siano delle famiglie incolpevolmente penalizzate. D’altronde già entro il 30 novembre bisognerà inviare la legge di Bilancio 2023 a Bruxelles, un mese in cui il governo Meloni dovrà concentrarsi anche su altre misure, specialmente quelle per il contrasto della crisi energetica. Per questo motivo il progetto di sostituire il reddito di cittadinanza con il reddito di sussistenza potrebbe concretizzarsi solamente nel 2024, mentre nel frattempo il governo Meloni potrebbe comunque introdurre ulteriori paletti finalizzati a limitare la platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza. Se il governo Meloni avesse avuto più tempo per elaborare la legge di Bilancio 2023 molto probabilmente sarebbe intervenuto subito nel sostituire il reddito di cittadinanza con un reddito di sussistenza. Nel dettaglio, tale misura consisterebbe nel riconoscere un beneficio economico alle famiglie che vivono in una condizione economica di difficoltà, ma solo laddove sussistono delle condizioni ostative che impediscono a uno o più componenti di andare a lavorare. D’altronde, la presidente del Consiglio non ha mai nascosto il suo piano rispetto al futuro del reddito di cittadinanza. Quindi, per chi può lavorare ci saranno delle misure ad hoc, con maggiori risorse destinate alle aziende sotto forma d’incentivi per l’occupazione. A occuparsi dell’erogazione del contributo, però, non sarebbe più l’Inps. Secondo una parte della maggioranza, infatti, è il Comune l’ente migliore a cui affidare la gestione delle risorse del reddito di sussistenza.

Reddito di sussistenza, non c’è tempo per approvarlo subito

Come detto sopra, però, il tempo per sostituire il reddito di cittadinanza già nel 2023 non sembra esserci. D’altronde si tratta di una misura che coinvolge in totale 3,4 milioni d’Italiani, di cui i due terzi al Sud, una gran parte della popolazione. Una misura come il reddito di sussistenza sarebbe tutta da scrivere, impensabile che il governo ci riesca in così poco tempo. Per evitare di commettere errori, quindi, si potrebbe inizialmente confermare il reddito di cittadinanza fissando degli ulteriori paletti. In totale sono 660.602 i beneficiari del reddito di cittadinanza che risultano occupabili. Sono questi a cui il governo intende togliere il reddito di cittadinanza, mandandoli a lavorare già nel 2023. Non che sia facile, in quanto significa che bisognerà trovare almeno lo stesso numero di offerte di lavoro congrue. Così sarà nel 2023, dopodiché, una volta che una prima scrematura è effettuata, il prossimo anno si potrà pensare a una vera e propria sostituzione. Fonte: Money [sv slug="seguici"]
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