MILANO. Di una cosa sono tutti sicuri: a lavorare sullo scambio al “chilometro 166+771”, fino a un’ora prima del disastro, è stata una squadra di 5 operai di Rfi. Per questo la procura di Lodi, titolare dell’inchiesta, ha iscritto i loro nomi nel registro degli indagati. Per ora è un atto dovuto, per eseguire perizie e accertamenti tecnici. Quello scambio è il “punto zero” in cui alle 5,34 di giovedì mattina è deragliato il Frecciarossa 1000 “9595”, partito dalla stazione centrale di Milano. Ma il fascicolo, aperto per disastro ferroviario, lesioni e omicidio colposi plurimi, è destinato a crescere, risalendo la catena di controllo di Rete ferroviaria italiana, alla ricerca di chi avrebbe potuto e ha omesso di fare qualcosa. A causare lo schianto del treno è stato, senza dubbio, il deviatoio rimasto «aperto» verso la «corsia di ricovero». La squadra di operai di Rfi (quattro oltre al responsabile) aveva comunicato alla centrale operativa di Bologna, competente per quel pezzo di linea ferroviaria, l’inizio dei lavori per aggiustare un guasto proprio su quello scambio. Per effettuare la riparazione gli operai, come da prassi (si tratta di un lavoro di routine che si ripete spesso su una linea tanto sfruttata), hanno disalimentato il deviatoio. Quindi lo hanno isolato, rendendolo di fatto invisibile ai monitor della centrale bolognese. Alle 4,45 il problema non era ancora risolto, ma l’anomalia presente non era tale da impedire il passaggio di un treno dell’Alta Velocità. Così gli operai hanno terminato i lavori e comunicato che lo scambio era «chiuso» e isolato dal sistema, per permettere il passaggio del treno. Il fonogramma, «Deviatoio numero 05 disalimentato e confermato in posizione normale», era il via libera ai macchinisti per partire. Prassi, routine, un’operazione ripetuta centinaia di volte.

Lodi, treno alta velocità deraglia: la ricostruzione

Il problema è che qualcuno ha detto che era chiuso, ma di fatto lo ha lasciato aperto. Chi, ancora non è chiaro a inquirenti e investigatori che hanno già ascoltato gli operai in servizio quella notte, ora indagati e trasferiti «ad altro incarico» dalla stessa Rfi. Da quello che emerso, nessuno di loro si sarebbe assunto la responsabilità. Ma chi avrebbe potuto manovrare quello scambio, una volta isolato e reso invisibile alla centrale bolognese? Qualcuno dal “posto movimento” nella palazzina di Rfi su cui si è schiantata la prima carrozza del treno, dopo aver comunicato la sua attività alla centrale. Ma poteva farlo anche qualcuno fisicamente, sul posto, azionando una leva. Ecco perché il timore degli inquirenti è che dietro la tragedia ci sia stato un mero «errore umano». Non è escluso però anche qualche problema di comunicazione nel sistema e nella rete di comando di Rfi che gli agenti della Polfer e del Nucleo operativo incidenti ferroviari stanno scandagliando.

Treno deragliato a Lodi, i vigili del fuoco entrano nel locomotore

Il giorno dopo il disastro nei campi di Ospedaletto Lodigiano non c’è più il viavai dei vigili del fuoco e delle ambulanze. «Mi fa male al cuore vedere un gioiello della tecnologia ridotto così», sussurra un investigatore che di tragedie e di incidenti in vita sua ne ha visti tanti. Restano solo pochi curiosi che fanno visita al luogo del disastro. Si avvicinano, scattano qualche foto sulla stradina di campagna che corre parallela all’Autosole.

Treno deragliato a Lodi: ribaltate le prime due vetture del Frecciarossa

In mezzo c’è quello che resta del Frecciarossa partito da Milano giovedì all’alba e che ha finito qui la sua corsa a trecento chilometri all’ora. La seconda carrozza accasciata sul fianco, come sospesa, nel silenzio della campagna lodigiana. Le altre ancora in piedi, seppure deragliate e ammaccate dai sassi e dalle schegge. Qualche decina di metri più indietro, la locomotiva sventrata e adagiata sulla palazzina delle Ferrovie, in cui hanno perso la vita i due macchinisti Mario Dicuonzo e Giuseppe Cicciù. Tutti e trentuno i feriti, tra passeggeri e personale Trenitalia, stanno meglio, almeno fisicamente.

Treno deragliato a Lodi, una passeggera: "Mi sono aggrappata al sedile con tutte le mie forze"

Instancabili, al di là del nastro bianco e rosso che delimita l’area sotto sequestro, gli investigatori della Polfer hanno lavorato per l’intera giornata. Con i tecnici di Rfi e gli agenti della scientifica, hanno eseguito i rilievi necessari, a partire dalle misurazioni sulla carcassa del treno che presto verrà rimossa. «Perché l’area deve essere smobilitata in fretta, al massimo in un paio di giorni», dice un operaio. I treni devono ricominciare a correre per unire l’Italia spezzata. Fonte: La Stampa
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