Arrivano davvero le multe per chi esce di casa senza averne necessità.
Rischia non solo chi si mette alla guida di un veicolo, ma anche chi semplicemente passeggia a piedi. Sono le sanzioni previste dai divieti per contrastare l’emergenza coronavirus. Ma non solo: nonostante le aspettative di molti, il calo del traffico non ha allentato la vigilanza sulle normali infrazioni. Almeno in alcune città. E c’è chi l’ha presa malissimo.
Ecco che cosa sta accadendo, con le indicazioni su come comportarsi. Con la premessa che - ora più che mai - le sanzioni sono necessarie per convincere anche i più incoscienti o riottosi a ridurre i rischi di contagiarsi e contagiare gli altri. Per il bene di tutti. Quindi non si tratta di eludere le sanzioni, ma solo di sapere cosa è lecito fare e di farlo tenendosi sempre lontani da altre persone.
I controlli
Con la cancellazione delle zone rosse e l’estensione a tutto il territorio nazionale del divieto di uscire di casa senza validi motivi, molte polizie locali hanno istituito controlli specifici. La possibilità di incapparvi è maggiore di quella cui si è abituati nella routine quotidiana: il traffico è molto diminuito, quindi gli agenti possono fermare una discreta quota di chi circola.
I provvedimenti governativi vietano gli spostamenti senza validi motivi, a prescindere da come avvengono. Quindi, non solo non si può uscire in auto o in moto, ma non si può fare nemmeno una passeggiata a piedi. Le campagne informative del Governo le ritenevano consentite, ma l’11 marzo il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, ha smentito questa interpretazione. Nell’incertezza, vale il buonsenso: chi prende una boccata d’aria da solo stando lontano dagli altri corre meno rischi, di contagio e di sanzione.
Al controllo, viene chiesto il motivo dello spostamento. Deve rientrare fra:
I REATI LEGATI ALL’EMERGENZA
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LE SANZIONI PREVISTE DAL DPCM
Coronavirus, cosa rischia chi non rispetta la distanza di un metro e i limiti agli spostamenti
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- lavoro, se si svolge un’attività tra quelle non soggette alle chiusure forzate (quindi è consigliabile portare con se un documento che comprovi dove si lavora, dal badge aziendale al biglietto da visita, meglio ancora se accompagnato da una dichiarazione del datore di lavoro che attesta l’impossibilità di organizzare l’attività con modalità alternative come lo smart working);
- salute (quindi verrà chiesto se lo si può dimostrare con la prenotazione di una visita specialistica o di un esame o in qualche altro modo);
- necessità reale (fare la spesa di beni primari come latte, burro, pane, pasta, riso o frutta - mentre su altri alimentari si potrebbe obiettare che non sono indispensabili -, accudire un parente anziano o altre esigenze realmente fondamentali).
Chi si culla sul fatto che tutto ciò viene autocertificato e non sarà mai controllato a posteriori (anche se tali verifiche sono comunque prevista dalla legge sin dal 2000) sbaglia. Non solo perché mette a repentaglio la salute di tutti, ma anche perché gli agenti possono ritenere infondata la motivazione fornita. Per esempio, se riscontrano che c’è un’incongruenza in ciò che l’interessato dichiara.
Le sanzioni
A quel punto, scatta una denuncia penale per inottemperanza all’ordine di un’autorità (articolo 650 del Codice penale). Si rischiano l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro.
Se si dichiara il falso (cosa accertabile anche in un secondo momento, con un’indagine), scatta l’articolo 495, che normalmente prevede la reclusione da 1 a 6 anni (ci sono poi ulteriori aggravanti).
Se durante il controllo non si tiene un comportamento corretto, si possono configurare anche altri reati, come la resistenza a pubblico ufficiale.(IlSole24ore)
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