Ci sono i medici in pensione che tornano in corsia per dare un aiuto.
E poi c’è Fausto Francia, che da tre anni collabora gratuitamente col Dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl, di cui per anni è stato direttore. Un punto di vista privilegiato per capire cosa sta succedendo. «L’Emilia-Romagna ha reagito bene, ha fatto quel che doveva. Ma ora state a casa, lavatevi le mani, aprite le finestre, non abbiate paura di bere l’acqua del rubinetto. La vitamina C? Hanno provato a rifilarla anche a me... Penso che ne usciremo a maggio, ma non staremo certo in quarantena fino ad allora: con un calo dei contagi il governo allenterà i vincoli».
Francia, il contagio pare rallentare. Buon segno?
«Stiamo tutti aspettando dei dati positivi, ogni segno "meno" ci fa piacere, ma per poter vedere un’inversione servono 5-6 giorni di fila con casi fermi. Solo allora si potrà parlare di una svolta».
Come è stata affrontata l’emergenza in regione?
«E’ stato fatto tutto quel che si doveva. Chiaro, noi abbiamo purtroppo subìto ciò che stava succedendo in Lombardia».
In Emilia-Romagna, seconda in Italia per numero di contagi, fino all’11 marzo erano stati eseguiti poco più di seimila tamponi. In Veneto, che sta contenendo l’epidemia, oltre ventimila. C’è un nesso fra questi dati?
«I dati, così, non sono interpretabili. In Veneto, per esempio, il paese di Vo’ è stato oggetto di uno studio approfondito e questo potrebbe pesare sul conteggio. Non c’è correlazione tra epidemia e tamponi, altrimenti diventa come sparare col mitra o come svuotare il mare con un cucchiaio. Da noi, dopo avere abbandonato la strada di trovare anche gli asintomatici, priva di senso, abbiamo iniziato a cercare solo i sintomatici e i loro contatti stretti».
Perché?
«Dal punto di vista epidemiologico, anche se io le faccio il tampone oggi, chi mi dice che domani lei non incontra qualcuno a rischio? Se ha un sintomo, invece, andiamo a indagare. Poi c’è un discorso economico. Chi si occupa di sanità deve capire le ricadute sulla macchina. Se a un camion che trasporta 60 quintali ne fai portare 200, si ferma. Se ho speso soldi per centinaia di migliaia di tamponi, non li ho per i respiratori».
Lei come passa le giornate?
«Lavoro. Collaboro gratis col dipartimento di sanità pubblica, vado in ufficio tre o quattro volte a settimana, do una mano sul quotidiano. E pensare che ero andato in pensione dicendo che non avrei voluto più sentirne parlare...».
Convinca i bolognesi a stare a casa.
«Siamo davanti a una malattia nuova, di cui non esiste vaccino, che si trasmette rapidamente e supera ogni confine. Se non riusciamo a far muro, riducendo al minimo le occasioni sociali, il rischio è che questa patologia rimanga a lungo, con danni enormi alla salute e al tessuto socio-economico. Il piccolo sacrificio di oggi diventa una situazione favorevole domani».
Stando in casa, finestre aperte?
«Areare non è mai sbagliato, diluisce la presenza di microorganismi in uno spazio chiuso. In casa ci si comporta come fuori: lavarsi le mani e disinfettare le superfici»
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E la famosa vitamina C?
«Hanno provato a rifilarmela in negozio. Male non fa, chiaro, ma che sia un elemento chiave nella lotta al coronavirus... Leggevo pure di tisane di zenzero. Che dire, l’importante è che la gente si senta tranquilla, anche scaricando l’ansia così».
Cibi sconsigliati?
«Nessuno. Se il virus lo ingeriamo non ci fa nulla, se infila l’albero respiratorio è un problema. Mi hanno chiesto persino se si può bere l’acqua dell’acquedotto: ma figurarsi se si trasmette così il coronavirus».
La preoccupa il caso Medicina? Servono altre restrizioni?
«E’ un caso che ci si poteva aspettare, in una comunità di persone anziane che vivono a stretto contatto. Ora l’importante è che il paese segua le indicazioni di governo e Regione. In passato mi sono un po’ inalberato coi vari sindaci che decidevano in autonomia: serve uniformità».
Dottore, quando ne usciremo?
«Ragionevolmente, saremo fuori dal tunnel a metà maggio. Attenti: non vuol dire che fino ad allora dovremo stare in quarantena. Toccato il picco, che alcuni modelli matematici individuano a fine marzo, scatterà la fase di decrescita e i casi caleranno. Lì il governo potrà allentare i vincoli».(LaRepubblica)
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