La lettera a Dagospia

Caro Dago, sono amico di Vittorio Feltri ormai da molti anni, e i miei amici di sinistra mi dicono «Ma come fai a essere amico di Vittorio Feltri?». Io rispondo sempre «Non sapete cosa vi perdete», e comunque si facciano i cazzi loro. Tra l’altro casomai dovrebbero chiedersi come faccia Feltri a essere amico mio, che sono bisessuale, ateo, scientifico fino al midollo, odiato sia dalla sinistra che dalla destra. Un lettore ieri mi ha scritto che non leggerà più i miei libri perché ne ho scritto uno con Feltri, e io gli ho detto chissenefrega, sei tu che non mi piaci ai miei libri non loro a te, leggiti la Murgia.

Non sempre siamo d’accordo, io e Vittorio.

Nell’ultima telefonata abbiamo discusso su Matteo Salvini, che per lui è il meno peggio e per me sono tutti uno peggio dell’altro, forse Salvini peggio di tutti perché gli altri sono il nulla ma lui è il nulla che bacia il cuore immacolato di Maria tra un selfie dove addenta un panino e l’altro dove si traveste da poliziotto, quando non viene a suonarti al citofono per accusarti di spaccio, un politico con un guardaroba da vomito e con una culturina da ultras da stadio che rispetto a lui perfino Zingaretti sembra un professore anziché il mio commercialista.

Ma la polemica sui meridionali non la capisco.

Come ha fatto notare Giuseppe Cruciani, era ovvio che Vittorio intendesse inferiori economicamente, e lì non c’è dubbio. Gli si obietta che molti meridionali nel dopoguerra sono andati a lavorare al Nord, appunto, perché al Nord c’era lavoro, mentre il Sud si regge ancora sulla mafia. Quella mafia che Roberto Saviano denunciò di essere arrivata al Nord, anche qui appunto, esportata dal Sud. Oltretutto si è scandalizzato Parenzo, cartina tornasole del fatto che abbia ragione Feltri.

Senza contare che Feltri, tra l’altro, è la persona più liberale che io conosca.

Con lui parliamo spesso contro l’idiozia delle religioni (cosa fondamentale per essere davvero miei amici), gli ho presentato il mio compagno e la mia compagna, ci ha invitati spesso insieme a cena e sempre offrendo lui perché non sono mai riuscito a offrirgli neppure un caffè, e per il resto non ha nessuno schema mentale o ideologico che hanno molti altri, di destra o di sinistra che siano. La prima volta che glielo dissi, che ho un fidanzato, una fidanzata, e diverse amanti (all’epoca, oggi mi sono rotto i coglioni anche del sesso, al massimo vado da una prostituta, costa meno di una donna), mi rispose: «Pensa che fortuna, e io che sono solo etero e devo accontentarmi solo delle donne».

Con lui puoi parlare di tutto, e lui parla di tutto in privato e anche in pubblico

Facendo irritare i benpensanti perché non hanno capito che, esistenzialmente, non gliene frega niente di un cazzo, e dice quello che vuole, e come direttore, io ne sono la prova, ti dà anche la libertà che vuoi. Quando difende gli omosessuali e le unioni civili nessuno dice niente, quando dice «frocio» come dicono anche gli omosessuali tra di loro scatta l’indignazione.

Ti racconto anche un aneddoto che non sa nessuno, è privato ma significativo.

Quando Feltri passò da Libero al Giornale, si portò dietro un gruppo di suoi giornalisti fidati, più uno scrittore, me, non certo di destra, e lasciandomi carta bianca come ha sempre fatto. All’epoca la mia collaborazione con Libero, in forma cessione diritti d’autore, era di sedicimila euro l’anno. Quando mi chiamò il direttore amministrativo del Giornale, Gianni di Giore, mi chiese quanto volevo. Io pensai di alzare la posta e proposi venticinquemila. Dopo due ore Di Giore mi richiamò: «Il direttore non è d’accordo». «Capisco», dissi rassegnato. «E quindi quanto mi date?». «Dice che sei troppo bravo, ti propone quarantacinquemila». Non mi è mai successo nella vita, figuriamoci a Roma, dove vivo, dove casomai ti propongono collaborazioni dove non ti pagano proprio o il minimo indispensabile.

Unica cosa che non capisco di Vittorio è perché non manda affanculo l’ordine dei giornalisti.

Una volta, per un articolo che io scrissi su Libero o sul Giornale, non ricordo, partì anche una mozione dell’Ordine contro di me per espellermi, senza accorgersi che non sono iscritto all’Ordine, non sono neppure un pubblicista, sono uno scrittore che riceve solo compensi di diritti d’autore. Ma credo che quella di Vittorio sia una questione di principio. Potrebbe andarsene quando vuole, è il direttore più pagato d’Italia da decenni, ma forse continuare a restare nell’Ordine, senza che l’Ordine riesca a cacciarlo, perché è il suo modo di mandarli affanculo ogni giorno. Baci, Massimiliano Parente (Dagospia) Leggi anche: Feltri al Sud: «Noi senza di voi campiamo alla grande, datevi una regolata o farete una brutta fine». Seguici su Facebook: 41esimoparallelo
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