Elena Cecchettin: «Crudeltà e stalking non riconosciuti, allo Stato non importa nulla delle donne»
La sorella di Giulia Cecchettin commenta la sentenza di condanna all'ergastolo di Filippo Turetta, criticando la decisione di non riconoscere alcune aggravanti, in particolare lo stalking

La recente condanna all'ergastolo di Filippo Turetta per l'omicidio della giovane Giulia Cecchettin ha scatenato molte reazioni, soprattutto a causa della decisione della Corte di non riconoscere alcune aggravanti. Tra queste, le più contestate sono la crudeltà e gli atti persecutori, che non sono stati considerati nel verdetto. Elena Cecchettin, sorella della vittima, ha espresso pubblicamente il suo disappunto attraverso un post su Instagram, criticando aspramente i giudici e il sistema giuridico.
Elena sottolinea che «una sentenza giudiziaria non corrisponde sempre alla realtà dei fatti», definendo la decisione come una «verità giudiziaria», cioè quella che emerge dal processo, ma che non sempre riflette la complessità della situazione. La sua critica si concentra in particolare sulla mancata considerazione dell'aggravante dello stalking, un elemento che ritiene fondamentale per comprendere la dinamica della violenza che ha preceduto l'omicidio.
Le accuse al sistema e alle istituzioni
Nel suo post, Elena esprime anche un forte disappunto nei confronti delle istituzioni italiane, accusandole di non dare il giusto peso alla violenza di genere. Secondo lei, la mancanza di riconoscimento delle aggravanti, come la crudeltà e lo stalking, rappresenta un «mancanza di rispetto anche alla famiglia» e dimostra che alle istituzioni «non importa nulla delle donne». La sorella di Giulia lamenta come, ancora una volta, le vittime di femminicidio non vengano trattate con la dovuta serietà fino a quando non è troppo tardi.
Il femminicidio e la giustificazione della violenza
Elena Cecchettin, concludendo il suo intervento, denuncia una preoccupante tendenza a minimizzare o giustificare la violenza che precede l’omicidio. Secondo lei, ciò che ha ucciso Giulia non è stata solo una mano violenta, ma anche «la giustificazione e il menefreghismo per gli stadi di violenza che anticipano il femminicidio». Un messaggio forte e chiaro, che mette in luce la necessità di un cambiamento radicale nella cultura giuridica e sociale per proteggere le donne e prevenire il femminicidio.
Le prospettive future
L'appello di Elena Cecchettin non è solo una denuncia, ma anche un invito a riflettere sul trattamento delle vittime di violenza e sul bisogno urgente di un sistema giuridico che non tratti il femminicidio come un evento isolato, ma come il culmine di una serie di abusi e segnali trascurati. In attesa delle motivazioni della sentenza, l'opinione pubblica resta divisa sulla decisione della Corte, e la famiglia di Giulia Cecchettin continuerà a lottare per una maggiore attenzione alle cause profonde della violenza di genere.