Emanuele Tufano morto a 15 anni: i giovani nella guerra tra "paranze"
L’inquietante realtà della criminalità giovanile: «Coinvolti anche i bambini»
La tragica morte di Emanuele Tufano, un ragazzo di soli 15 anni, ha riacceso i riflettori su un fenomeno inquietante che coinvolge i giovani nelle dinamiche della camorra.
Cresciuti in contesti sociali difficili e spesso caratterizzati da povertà e violenza, molti ragazzi si trovano costretti a scegliere la strada della criminalità, attratti da promesse di fama e di riscatto economico.
Quella che per loro rappresenta una via d’uscita si traduce in un coinvolgimento diretto in conflitti armati tra bande rivali, noti come “paranze”.
La guerra tra paranze: una realtà quotidiana
La notte tra il 23 e il 24 ottobre, Emanuele è stato tragicamente ucciso da un colpo di pistola alla schiena, mentre si trovava nel bel mezzo di uno scontro tra bande rivali nei pressi di Corso Umberto I a Napoli. La dinamica dell’omicidio ricorda tristemente la vita di Gennaro Ramondino, un altro giovane vittima della violenza camorristica. Questi episodi non sono isolati, ma rappresentano un triste affresco della realtà che circonda i giovanissimi nelle zone più vulnerabili della città.
I muschilli e il loro ruolo nella criminalità
Il termine "muschilli" è stato coniato dal giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985, per descrivere i bambini utilizzati come corrieri della droga. Oggi, a distanza di anni, il panorama è cambiato ma la sostanza rimane la stessa. I bambini, invece di stringere tra le mani giocattoli o libri, sono ora armati di pistole, intrappolati in un ciclo di violenza che sembra non avere fine. Questo fenomeno è alimentato dalla paura e dalla mancanza di alternative, costringendo i più giovani a un destino che li vede protagonisti di una guerra che non hanno scelto.
Il reclutamento dei giovanissimi da parte dei clan
I clan camorristi sono abili nel reclutare i più giovani, approfittando della loro vulnerabilità e della necessità di appartenenza a un gruppo. Attraverso promesse di protezione, denaro e status sociale, questi ragazzi vengono sedotti e infine integrati nel sistema criminale. Nonostante i tentativi di contrastare la violenza giovanile, le bande continuano a prosperare, alimentando un ciclo di morte e distruzione che colpisce famiglie e comunità intere.
La morte di Emanuele Tufano deve servire da monito per tutti. Non possiamo permettere che la narrativa della criminalità continui a sedurre i nostri giovani. È fondamentale unire gli sforzi della società civile, delle istituzioni e delle forze dell’ordine per creare percorsi alternativi che offrano ai ragazzi opportunità reali di crescita e sviluppo. Solo così potremo spezzare il ciclo della violenza e dare un futuro migliore a quelli che oggi sono solo bambini, ma che domani potrebbero diventare le vittime o i protagonisti di una guerra armata che non hanno scelto.