Nicolò Borghini ucciso a fucilate dal padre, l'ex datore di lavoro: «Si sfogava in famiglia»
Una lite familiare apparentemente scaturita da un motivo banale, come un portone lasciato aperto, si è trasformata in una tragedia. Domenica sera, il 19 gennaio, Edoardo Borghini, 63 anni, ha sparato al figlio Nicolò Borghini, uccidendolo con due colpi di fucile. Una situazione di tensione che si è consumata tra le mura domestiche, culminando in un epilogo drammatico.
La dinamica dei fatti
Secondo quanto ricostruito, Nicolò Borghini, 34 anni, era rientrato a casa dopo una serata trascorsa con un amico. La discussione è iniziata per futili motivi, quando il giovane si è innervosito per il portone del garage chiuso. La lite è rapidamente degenerata in un confronto violento: Nicolò avrebbe aggredito entrambi i genitori, ferendo in particolare la madre.
La donna, cercando di sfuggire alla furia del figlio, si è rifugiata in una stanza, ma Nicolò ha tentato di forzare la porta. È stato in quel momento che Edoardo Borghini ha imbracciato un fucile e ha sparato due colpi, colpendo mortalmente il figlio.
Il carattere difficile di Nicolò: la testimonianza dell’ex datore di lavoro
La personalità di Nicolò Borghini presentava due facce: apparentemente remissivo e silenzioso sul lavoro, ma incline a scatti d'ira e violenza in famiglia. Il suo ex datore di lavoro, intervenuto ai microfoni di Pomeriggio Cinque, ha descritto il giovane come un lavoratore distante e chiuso in se stesso, incapace di rispondere alle critiche.
«Non litigavano tutti i giorni, ma quando accadeva, l’aria a casa era pesante. Spaccava tutto e se la prendeva con la madre. Il padre era esasperato, non ce l’ha più fatta», ha raccontato l'uomo, evidenziando come la situazione familiare fosse ormai insostenibile.
Le parole dell’avvocato difensore
Edoardo Borghini, dopo aver sparato, ha chiamato i carabinieri confessando immediatamente l’accaduto. Il suo avvocato, Gabriele Pipicelli, ha dichiarato all’ANSA che il gesto non è stato premeditato: «Il mio assistito è disperato. Nessun genitore vuole la morte del proprio figlio. Questo è l'epilogo di una situazione acutizzata da anni di tensioni. Non ha sparato per uccidere, ma per difendersi».
Alla domanda se possa configurarsi la legittima difesa, l'avvocato ha preferito non rilasciare dichiarazioni definitive, sottolineando la necessità di attendere l'udienza di convalida davanti al giudice per le indagini preliminari.
Un dramma che scuote la comunità
La vicenda di Nicolò Borghini ha scosso profondamente la comunità locale. Gli amici e i conoscenti descrivono un ragazzo che alternava momenti di calma a esplosioni di rabbia incontrollata, rendendo difficile la convivenza familiare. La tragedia, sebbene unica nel suo genere, mette in luce le difficoltà che alcune famiglie affrontano nel gestire situazioni di tensione prolungata.
L’omicidio di Nicolò Borghini rappresenta un dramma familiare che solleva interrogativi sulla gestione delle conflittualità domestiche. Mentre le indagini proseguono, resta il dolore per una famiglia distrutta e una comunità che cerca di elaborare quanto accaduto. La speranza è che tragedie simili possano essere prevenute attraverso un maggiore supporto psicologico e sociale alle famiglie in difficoltà.