Anche la compagna di Giuseppe Montella è finita in manette nell'inchiesta che ha visto l'arresto di sei carabinieri e il sequestro di una intera caserma a Piacenza. Maria Luisa Cattaneo, la compagna dell'appuntato napoletano leader del gruppetto di militari accusati di pestaggi, estorsioni, spaccio e anche di tortura, è finita ai domiciliari perché accusata di aver aiutato il 37enne nell'approvvigionamento della droga. Inoltre nelle intercettazioni, scrive Repubblica, parlava anche lei di soldi e droga.
«La personalità dell'indagato rivela come egli abbia la profonda convinzione di poter tenere qualunque tipo di comportamento, vivendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile», la descrizione di Montella data dal gip di Piacenza, Luca Milani.
Un uomo che «non mostra paura di nulla ed è dotato di un carattere particolarmente incline a prendere parte ad azioni pericolose e violente».
Dalle foto su Facebook, a bordo piscina della sua villa, sembra un padre affettuoso, sempre sorridente, amante della famiglia. E infatti alla famiglia raccontava le sue gesta - lui che definiva il suo gruppo «una associazione a delinquere» e diceva di essere a capo della «piramide» - senza tralasciare i particolari più cruenti.
Accennando alla moglie di una operazione di servizio appena conclusa, dopo aver sottolineato di essersi stirato un muscolo correndo dietro a uno spacciatore le dice senza problemi: «Amore, però lo abbiamo massacrato».
E ancora, sempre parlando con la moglie, raccontando le fasi dell'arresto di un maghrebino, si vanta così: «Questo c'ha fatto penare... Mamma quante mazzate ha pigliato... Abbiamo aspettato là dieci minuti, siamo riusciti a bloccarlo, non parlava, e ha preso subito due-tre schiaffi. Ne ha prese amore... in Caserma, amore! Colava il sangue, sfasciato da tutte le parti. Un ragazzino del '96. Non ha detto 'A'».
Carabinieri Piacenza, chi è Peppe Montella: dalle frasi razziste ai pestaggi
Si chiama Giuseppe Montella uno dei carabinieri arrestati a Piacenza, nell’ambito dell’inchiesta Odysseus, accusato di essere a capo della «piramide» di spaccio della caserma Levante.
Nato a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, Peppe Montella, il 37enne è stato spedito in cella, accusato di pestaggi, estorsioni, spaccio e tortura, con oltre 50 capi d’imputazione.
Dalle intercettazioni emerge il profilo di una persona che «vive al di sopra della legge», come riferisce il gip di Piacenza, Luca Milani.
Nel suo garage, dal 2005 al 2020, ha messo insieme 11 auto e 16 moto, tra cui una Porsche Cayenne, quattro Bmw e due Mercedes. Un tenore di vita «decisamente sproporzionato» a fronte dei suoi 31.500 euro lordi di stipendio.
Peppe Montella, «non mostra paura di nulla ed è dotato di un carattere particolarmente incline a prendere parte ad azioni pericolose e violente». Dalle foto su Facebook, a bordo piscina della sua villa, sembra un padre affettuoso, sempre sorridente, amante della famiglia.
E infatti alla famiglia raccontava le sue gesta – lui che definiva il suo gruppo «una associazione a delinquere» e diceva di essere a capo della «piramide» – senza tralasciare i particolari più cruenti. Accennando alla moglie di una operazione di servizio appena conclusa, dopo aver sottolineato di essersi stirato un muscolo correndo dietro a uno spacciatore le dice senza problemi: «Amore, però lo abbiamo massacrato».
L’essersi fatto male, «perché ho corso dietro a un negro», diventa anche un racconto per il figlio undicenne, che incuriosito lo incalza: «L’hai preso poi?, Gliele avete date? Chi eravate? Chi l’ha picchiato?». «Eh, un po’ tutti», è la risposta dell’appuntato che, come per vantarsi, precisa che anche i suoi colleghi avevano picchiato lo straniero.
E ancora, sempre parlando con la moglie, raccontando le fasi dell’arresto di un maghrebino, si vanta così: «Questo c’ha fatto penare… Mamma quante mazzate ha pigliato… Abbiamo aspettato là dieci minuti, siamo riusciti a bloccarlo, non parlava, e ha preso subito due-tre schiaffi. Ne ha prese amore… in Caserma, amore! Colava il sangue, sfasciato da tutte le parti. Un ragazzino del ’96. Non ha detto “a”».
Il suo scopo era eseguire arresti ad ogni costo, così gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità che commetteva insieme agli altri militari.
È sempre lui a coltivare i rapporti con gli spacciatori, a spostare “fumo” e marijuana organizzando servizi di scorta lungo la strada. Voleva sempre di più e infatti il suo vero obiettivo, scrive ancora il Gip, era quello di riuscire a trafficare cocaina. «A me quello che mi interessa – dice parlando con un altro degli arrestati – è la coca.
Se riusciamo… dopo che abbiamo preso due volte, tre volte, quattro volte… se riusciamo ad abbassà un po’ il prezzo… sarebbe top». (Il Mattino)
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