Camilla Canepa morta a 18 anni dopo il vaccino Astrazeneca: cinque medici a processo
La studentessa «non aveva alcuna patologia pregressa e non aveva preso alcun farmaco»
Il tragico decesso di Camilla Canepa, una studentessa di Sestri Levante, continua a scuotere l’opinione pubblica. La giovane di appena 18 anni è morta nel giugno 2021 presso l'ospedale San Martino di Genova, pochi giorni dopo aver ricevuto una dose del vaccino AstraZeneca durante un open day vaccinale. Il caso ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di cinque medici, ora a processo con l’accusa di omicidio colposo e falso ideologico.
Secondo la procura di Genova, la morte della ragazza sarebbe riconducibile a una trombosi non adeguatamente trattata, che sarebbe potuta essere evitata con un protocollo di diagnosi e cura più tempestivo. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 16 gennaio, data in cui la giudice Carla Pastorini deciderà se rinviare i cinque medici a giudizio.
Le accuse: diagnosi tardiva e protocolli non rispettati
L’accusa di omicidio colposo si concentra sulla presunta inadeguatezza delle cure fornite a Camilla Canepa quando si presentò al pronto soccorso dell’ospedale di Lavagna, tre giorni dopo la vaccinazione. I pm Francesca Rombolà e Stefano Puppo sostengono che i medici avrebbero mancato di effettuare i test diagnostici previsti dal protocollo regionale, essenziali per trattare la sindrome da trombocitopenia immunitaria indotta dal vaccino (VITT), la complicanza che colpì Camilla.
Dagli atti emerge che la ragazza non soffriva di patologie pregresse e non aveva assunto alcun farmaco che potesse alterare il quadro clinico. La Procura ritiene che se i medici avessero seguito le linee guida indicate dalla Regione Liguria, diagnosticando in tempo la trombosi, Camilla avrebbe avuto una buona possibilità di sopravvivere.
Falso ideologico e documentazione omessa
Oltre al presunto errore diagnostico, tutti i medici coinvolti nel caso sono accusati di falso ideologico. Secondo gli inquirenti, nella documentazione sanitaria del pronto soccorso non sarebbe stata riportata la somministrazione del vaccino anti-Covid, elemento che avrebbe potuto indirizzare i medici verso la corretta diagnosi della patologia trombotica. Questa omissione avrebbe, di fatto, ostacolato il percorso di cura e impedito ai sanitari di identificare rapidamente la trombosi indotta dal vaccino.
I legali dei cinque medici, tra cui gli avvocati Paolo Costa, Stefano Savi, Alessandro Torri, Alberto Caselli Lapeschi e Maria Antonietta Lamazza, respingono le accuse, ritenendo che non vi siano prove sufficienti per affermare che l’operato dei loro assistiti abbia causato la morte di Camilla. I difensori sottolineano inoltre come la trombosi indotta da vaccino sia una reazione rara e difficile da diagnosticare, soprattutto nei primi giorni successivi alla somministrazione.
La controversia sulle responsabilità e le reazioni della comunità
La vicenda di Camilla Canepa ha suscitato profonda commozione e alimentato il dibattito sui rischi correlati alla somministrazione dei vaccini anti-Covid, in particolare di AstraZeneca. Il caso ha sollevato quesiti sull’adeguatezza dei protocolli sanitari predisposti per individuare e trattare eventuali effetti collaterali rari e gravi come la sindrome VITT.
Molte associazioni per la sicurezza dei pazienti e organizzazioni di tutela della salute hanno espresso preoccupazione e chiedono trasparenza e chiarezza nei protocolli sanitari, affinché sia garantito un percorso di cura sicuro per ogni paziente. La comunità di Sestri Levante, profondamente colpita dalla perdita di Camilla, segue con apprensione il processo e chiede giustizia per la giovane vittima.
L’udienza del 16 gennaio: un passo decisivo
L’udienza preliminare del 16 gennaio segnerà un momento cruciale per il caso, poiché potrebbe portare al rinvio a giudizio dei medici accusati. Sarà il giudice a valutare se vi siano prove sufficienti per procedere con un processo o se i cinque imputati verranno prosciolti dalle accuse.
Se rinviati a giudizio, il caso di Camilla Canepa potrebbe costituire un precedente importante nel rapporto tra gestione sanitaria e responsabilità legata alla somministrazione dei vaccini, sottolineando l’importanza di adottare sempre protocolli diagnostici tempestivi e trasparenti per trattare eventi avversi, anche se rari.
In attesa della decisione, l’intera vicenda resta una ferita aperta per la famiglia Canepa e per chi ha vissuto da vicino la tragica perdita di una giovane vita, richiamando l’attenzione su temi di grande rilevanza pubblica e di responsabilità medica.