Bimbo scosso dalla madre: «Il mio Daniel è morto schiacciato dalla sedia mentre pulivo la stanza»

ROVIGO - Il consulente medico della difesa che si dice d’accordo con quello dell’accusa sul fatto che si tratti di “sindrome del bambino scosso”, una tragedia che è ancora viva e il doppio dilaniante dramma di una giovane madre che racconta della morte del figlio di 9 mesi davanti alla Corte d’Assise chiamata a giudicarla proprio su quella morte. La necessità di trovare una verità e decidere una pena per chi già una pena l’ha già avuta. E una domanda che aleggia: sapeva e voleva far male al proprio adorato figlio ed ha ripetuto un comportamento che sapeva essere per lui dannoso? Perché a questo punto il nodo del processo è nella fattispecie di reato contestato più che nel fatto, almeno secondo quanto riferito ieri dai consulenti dell’accusa e della difesa di fronte alla Corte d’Assise del tribunale di Rovigo, chiamata a giudicare Ana Plamadela, 29 anni, a giudizio per maltrattamenti in famiglia, nell’ipotesi più grave, prevista in caso di morte, per la quale è prevista la reclusione da 12 a 24 anni. LE PERIZIE Il reato di maltrattamenti in famiglia è un “reato abituale”, ovvero prevede un ripetersi, un’abitualità. E coscienza e volontà. Su questo crinale sembra incamminarsi questo processo, alla luce dell’udienza di ieri, sempre che la fattispecie di reato non venga modificata in quella di omicidio colposo, che si concretizza invece nei casi in cui la morte non sia una conseguenza voluta ma si verifichi a causa di negligenza o imprudenza o imperizia. La donna, inizialmente, era stata indagata dall’allora pm Davide Nalin di omicidio volontario in concorso insieme al marito Valeriu, 32 anni, cuoco di una rinomata trattoria, la cui posizione è stata però archiviata già in fase d’indagine. Entrambi sono di origine moldava, anche se lui è in Polesine da molti anni ed ha frequentato il Cipriani di Adria. La tragedia non li ha divisi, e hanno recentemente avuto una bambina. Ana ha preso il diploma da Oss. In Moldavia ha due fratelli, entrambi con disabilità psicomotorie. LA TESTIMONIANZA Ed ha spiegato, singhiozzando come, in quel drammatico 23 gennaio del 2016, tutto sia successo in pochi istanti: «Daniel era in corridoio, gattonava, mi ha sorriso. Poi mi sono girata per passare l’aspirapolvere sotto il letto. Non l’ho visto cadere, ma ho sentito la botta: ho guardato e l’ho visto con la sedia sopra. L’ho preso in braccio, lui in quel momento respirava male e poi si è irrigidito». Un racconto, che come rimarcato nelle incalzanti domande del presidente della Corte d’Assise Angelo Risi, non trova riscontro con quanto sostenuto dai medici. «Non me lo spiego, ogni giorno me lo chiedo», ha replicato la donna, che ha detto che non sempre teneva la mano dietro la nuca del piccolo e che spesso ballava con lui ed il piccolo rideva. Per il consulente della Procura, il medico legale e anatomopatologo Raffaele De Caro, già direttore del Dipartimento di Anatomia e Fisiologia umana e presidente del corso di laurea specialistica in Medicina e Chirurgia dell’Università di Padova, dall’autopsia eseguita sul corpo del bambino spentosi ad appena 9 mesi, si ravviserebbero chiaramente i segni della cosiddetta “shaken baby syndrome”. Daniel, che era stato rianimato e trasportato a Padova, dove è stato ricoverato fino alla morte, avvenuta il 5 febbraio, era in realtà già morto quella sera, ha detto il medico: i medici avevano fatto ripartire il suo cuoricino, ma il gravissimo e diffuso danno encefalico su base traumatica era già irreversibile. Lesioni incompatibili con una semplice caduta. «Non trovo punti di debolezza in una consulenza di così alto livello, ho cercato ipotesi alternative e non ne ho trovate», ha detto il dottor Beniamino Tamiso, consulente della difesa, affidata all’avvocato Marco Petternella. «Nel libretto sanitario non sono state trovate tracce di fratture pregresse, per cui se ci sono stati altri episodi non sono stati gravi». Fonte: Leggo
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