cecilia sala

Dopo 20 giorni di prigionia nel carcere di Evin, in Iran, la giornalista italiana Cecilia Sala è finalmente tornata a casa. La detenzione, caratterizzata da isolamento e privazioni, si è conclusa grazie all’intervento diplomatico e al lavoro dell’intelligence italiana. Oggi emergono i dettagli della sua esperienza, un racconto di forza e resistenza in condizioni difficilissime.

La Detenzione a Evin: una cella senza luce del giorno

Cecilia Sala è stata rinchiusa in una cella stretta e alta, senza letto e con una luce sempre accesa. L’unico contatto con l’esterno era una piccola finestra sul soffitto, invisibile dalla sua posizione. Le venivano passati pasti frugali, come datteri, attraverso una feritoia.
“Avevo perso il senso del tempo, non sapevo più distinguere il giorno dalla notte,” ha raccontato la giornalista.

La Richiesta di una Bibbia e il Silenzio nelle Telefonate

Durante la detenzione, Sala ha chiesto di ricevere una Bibbia:
“Presumevo che fosse un libro che potevano avere in inglese, ed è anche molto lungo,” ha spiegato. Nelle rare telefonate con la famiglia, era costretta a leggere messaggi preconfezionati:
“Avevo paura che interrompessero la chiamata se dicevo qualcosa di diverso.”

L’unico volto familiare durante la detenzione è stato quello dell’ambasciatrice italiana Paola Amadei, che per quasi 20 giorni è stata il solo contatto umano diretto della giornalista.

L’Isolamento e la Svolta dei Giorni Finali

Sebbene non abbia subito violenze fisiche, Sala ha raccontato di violenze psicologiche, dovute all’isolamento e all’assenza di un letto. Negli ultimi giorni di prigionia, le è stata assegnata una cella più grande, condivisa con una donna iraniana. Nonostante la barriera linguistica, le due hanno trovato un modo per comunicare, scambiandosi nomi di oggetti in farsi e inglese.

Un libro, il romanzo “Kafka sulla spiaggia” di Haruki Murakami, le è stato consegnato:
“Daniele, compralo anche tu nella stessa edizione, così lo leggiamo insieme a distanza,” ha detto al compagno, Daniele Raineri.

Il Ritorno in Italia e il Primo Contatto con la Libertà

Al suo arrivo in Italia, Cecilia Sala è apparsa comprensibilmente scossa.
“Scusate se non riesco a parlare bene, sono giorni che non parlo con nessuno,” ha detto. Prima di sottoporsi all’interrogatorio dei carabinieri del Ros sull’esperienza della detenzione, ha chiesto:
“Rompo il protocollo se prima vado a fumare?”

All’aeroporto, Sala ha vissuto momenti di grande emozione: un abbraccio con il compagno e la possibilità di accendere una sigaretta, la prima in Italia dopo settimane di privazioni.

Un Rinnovato Impegno per la Libertà di Stampa

Il caso di Cecilia Sala riporta al centro dell’attenzione la necessità di proteggere i giornalisti che operano in contesti internazionali pericolosi. La sua vicenda è un monito e un invito alla riflessione sulle condizioni in cui molti professionisti dell’informazione si trovano a lavorare.

La liberazione di Cecilia Sala rappresenta un successo diplomatico e una testimonianza della sua forza interiore. Il suo ritorno a casa segna un nuovo inizio, ma lascia aperte domande sulle condizioni dei giornalisti in aree critiche e sull'importanza di garantire loro sicurezza e supporto.

 

 

 

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