La situazione
Da dove nasce l'insofferenza di Alessandro Di Battista? Per quanto Beppe Grillo possa ''massacrarlo dall'interno'' (parole del suo adorato Max Bugani, mica nostre), il povero Dibba ha tutte le ragioni per scalpitare.
Dovete sapere che alla vigilia del voto politico, nel 2018, il ''Che Guevara di Roma Nord'' e Luigi Di Maio strinsero un patto di ferro. Giggino disse: inutile avere due galli nel pollaio, in questa tornata sarò io il capo e il volto del Movimento. Tu stai fermo un giro, e alla prossima legislatura, in virtù del vincolo dei due mandati, l'attuale classe dirigente dovrà tornare a casa, e avrai campo libero per prendere il controllo e fare le liste come pare a te.
Il tour
Dibba era reduce da tour in scooter dalle Alpi alla Sicilia, campagne incessanti, decine di apparizioni tv. La sua popolarità tra gli elettori grillini era alle stelle, ma sapeva che una diarchia (per di più con le ingombranti presenze di Grillo e Casaleggio jr) non avrebbe funzionato. Aveva da poco avuto il suo primo figlio, non senza turbolenze sentimentali con la fidanzata, e la prospettiva di altri ''Grand Tour'' sponsorizzati dal ''Fatto Quotidiano'' lo convinse a passare la mano.
Passano due anni, il Guatemala e l'Iran, il libro di memorie e l'occasionale apparizione tv per ricordare che lui c'è ancora. Arriva la pandemia, gli Stati Generali del Movimento (quelli che dovevano decidere il nuovo leader) vengono rinviati, e si inizia a parlare di ''deroga'' alla sacra regola dei due mandati.
Il consulente
Prima per la Raggi, per l'Appendino, poi dai sindaci si passa ai parlamentari, c'è chi propone la figura del ''consulente politico'' per salvare la cadrega ai big del partito. Alcuni dei parlamentari più vicini a Dibba, come Paragone in Senato e Corrao a Strasburgo, vengono espulsi o sospesi.
Il pasionario di Vigna Clara capisce che gli stanno scippando quello che gli spetta, ed ecco che con Casaleggio jr, che in teoria rappresenta l'eredità morale del Movimento delle origini, inizia a dare interviste, fare post, criticare apertamente le scelte dei suoi ex compagni. Ovviamente a Casaleggio jr. non gliene frega niente dei sogni distopici del padre, lui deve tenere in piedi la srl e le sue consulenze, odiatissime dai 5 Stelle.
Dinamiche
A Dibba serve quello che lui custodisce, l'infausto Rousseau, che tra le sue regole permette, raccogliendo almeno il 10% degli iscritti, di mettere a votazione una risoluzione che vincoli il movimento. Vi ricordate? Quella simpatica favola della democrazia diretta. Ne rimane qualche vestigia nello statuto dell'Associazione, che ormai serve solo a ciucciare 300 euro al mese da ognuno dei 300 parlamentari a 5 Stelle.
Dunque dopo il voto sul Mes in Parlamento, che dovrà passare per forza, pena la sopravvivenza del governo (c'è il soccorso di Forza Italia pronto a prendere il posto dei grillini riottoso), Dibba richiamerà in servizio la dimenticata ''base''. E Grillo è già pronto a spegnere l'ennesimo incendio, dicendo chiaramente agli attivisti che il Paese è in emergenza e non si può permettere di far saltare le trattative europee. A quel punto ci sarà la scissione oppure no? Tutto dipende proprio dall'impegno del Fondatore.
La tentazione
Grillo è tentato dal tornare in campo, diciamo al 70%. Ma ha un 30% di resistenza, legata anche alla sua voglia (zero) di sbattersi di nuovo in giro per il paese, di dover rispondere ogni giorno a una nuova polemica politica, di mettere pace nelle baruffe dei suoi ''portavoce''. Al momento preferisce fare una telefonata di qua e una di là per tenere unito il Movimento e cercare una maggioranza che metta insieme le fazioni di Fico e Di Maio, in chiave di ''resistenza'' alle cannonate di Di Battista.
A proposito di telefonate: Beppe non ha affatto gradito l'ultima mossa di Conte, cioè il rinvio a settembre del piano che dovrebbe ''salvare'' l'Italia dal baratro. Ma con il premier i contatti ultimamente si sono diradati. Una chiamata di cortesia ogni tanto, poca strategia (Casalino non vuole farsi dettare la linea, solo lui può).
Opinioni
Il Fondatore non ha una grande opinione del premier, ed è sempre più deluso dal suo continuo rimandare. Ma pure lui si rende conto che un'alternativa non c'è, e che se vuole tenere in piedi il movimento da lui creato, non può che sostenerlo.
Fino alla nascita del governo giallo-verde, sperava di aver in tasca una piccola rosa di potenziali leader, tra cui il suo affezionato Fico, ma anche Patuanelli, e ovviamente Di Battista. Invece uno a uno si sono dimostrati non in grado di gestire allo stesso tempo il loro ruolo (istituzionale e non) e quello di capo-partito.
Di Maio
E così resta solo il giovane vecchio Di Maio, ormai rassegnato e allineato al messaggio di Beppone: aggrappiamoci a Conte e che Dio ce la mandi buona. Tanto che Giggino, così avverso agli Stati Generali da essersi fatto il proprio summit alla Farnesina, ormai grida ''Viva gli Stati Generali''. E la poltrona regge un altro po'. (Dagospia)
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