«Non respiro, ti prego, non farmi morire».
Una frase semplice, poche parole, le ultime sussurrate piano in ginocchio sul ciglio di un marciapiede. Un’immagine oramai scolpita nella mente e nel cuore degli americani e di milioni e milioni di persone in tutto il mondo…
Ma chi era George Floyd? Vittima, simbolo, carnefice… Era un uomo… Semplicemente un uomo.
Ho chiuso gli occhi, ho provato a respirare e ad ascoltare, ad ascoltarlo:
«E’ brutto quando non riesci a respirare, si prova una sensazione strana, è come se la terra ti mancasse sotto i piedi, non senti più nulla, il tuo corpo non è nulla, non ha più peso, è come se non esistesse nemmeno più quella forza di gravità e d’improvviso ti senti come se fossi capovolto, a testa in giù. Io l’ho provato lo sai? Ecco perché sono qui, amica. Ho chiuso gli occhi, l’unica cosa che ricordo è quella frase pronunciata “I can’t breathe”, “non riesco a respirare”. Poi il sorriso di mia madre che mi accarezzava il volto.
Io davvero non comprendo, non capisco perché.
Perchè bisogna morire, perdere, perdersi prima di non essere più un numero, ma una persona. E non capisco perché, oggi, che non esisto più, tutti sanno invece chi sono. Tutti scavano nella mia vita, nella mia esistenza, tutti hanno una parola per me… Un ricordo, tutti mi vogliono bene anche i miei nemici, anche chi mi odiava e chi magari mi guardava con disprezzo. Non sono un santo, non lo sono mai stato… Si sono nero, ma la mia pelle mi piaceva, io ci stavo bene dentro quella pelle, non è mai stata un peso per me… E in America soprattutto non dovrebbe esserlo. Ho fatto degli errori e forse da solo mi sono autoescluso e confinato ai margini della città e del vivere.
Meritavo di morire?
Per qualcuno forse si, forse questo era il mio destino o la mia punizione per aver sbagliato, per aver condotto una vita poco “giusta”… Io lo so chi sono, ora più di quando ero vivo, più di quando il cuore lo sentivo a mille perché magari avevo fumato troppo oppure avevo abusato con la droga dopo una folle notte. Sono… Ero un uomo come tanti, con i suoi difetti e qualche pregio, amavo divertirmi forse troppo, forse al limite e credevo di essere invincibile, ma sapevo bene che non era così. E’ quella stupida convinzione e presunzione alla quale ti aggrappi per giustificare ciò che in momenti di lucidità sai che non è del tutto corretto e che prima o poi i conti si pagano.
Io ho pagato il mio conto
Forse in modo brutale, quel ginocchio me lo sento ancora qui che pressa sul mio collo e la vista che si offusca mentre il cervello va in panne. Io lo so cosa significa non riuscire più a respirare ma so anche che chi respira, ora sta urlando troppo. Prima di me un altro uomo ha smesso di respirare, eppure di lui non si è parlato.
Perché io? Perchè George Floyd? Perché sono nero? No, anche lui lo era.
E’ che forse ci sono delle differenze anche tra neri… Non amo e non giustifico chi mi ha levato il respiro, ma nemmeno lo condanno, perché non mi piace, non mi piace quello che vedo da quassù, perchè se non siamo tutti neri, non siamo nemmeno tutti cattivi.
Io vi sono grato per l’affetto che tutti mi state dimostrando da New York a Napoli, un parallelo…
Il 41esimo che ci lega gli uni agli altri. Se lo guardi bene è un filo sottile, ci si sta in bilico… Devi essere un bravo equilibrista… C’è chi cade e riesce a rialzarsi, chi viene spinto giù e chi in ginocchio chiede di essere salvato… Io l’ho chiesto, è vero, ma forse non era più il mio momento. Quell’uomo non mi ha aiutato… Quel poliziotto, non l’ha fatto… Ma ne ho incontrati tanti altri lungo le mie scelte sbagliate, mi hanno afferrato mille volte la mano ma io ho rifiutato. Da quassù ha tutto un altro valore, tutto un altro senso, vi prego lasciatemi riposare…
Ora io respiro, respiro a pieni polmoni… Finalmente!
Provate a farlo anche voi… Voi che dall’altra parte potete… Non ne fate più di me un fatto mediatico, politico, di “razza”… Sono un uomo, semplicemente un uomo. Facciate in modo, piuttosto, che, tutto ciò non riaccada, fate giustizia se credete che debba essere fatta, non fate altri morti… Io non tornerò e certo il mondo non cambierà se tu nero sarai sempre il primo a considerarti “diverso”… Credi che un bianco non abbia mai smesso di respirare per mano di un altro bianco o di un poliziotto? Ti sbagli ce ne sono tanti quassù.
Io non ero un santo, te lo ripeto ancora… Meritavo di morire?
No, non volevo morire e me ne sono accorto in quel momento quando mi mancava l’aria. Mi ha ucciso un poliziotto, lo odio? Si, ma so che non sono tutti così, so che un poliziotto bianco tante volte mi ha aiutato… E spesso soprattutto nella mia America poliziotti bianchi e neri lavorano insieme, fanno squadra e sono anche grandi amici.
Ora dalle autopsie sembra che io avessi il Covid, quasi a giustificare che sarei morto lo stesso.
Io non lo so, ma fino a quel momento respiravo… La verità? Credo che dopo questa pandemia che ci ha distrutti mentalmente, fisicamente, economicamente e politicamente… Tra scelte e decisioni forse sbagliate, c’era bisogno di qualcosa che distraesse il mondo, le persone… In Italia Silvia Romano e la sua settimana di gloria… In America io, George Floyd… Una persona qualunque… Lei è viva, io no… Ma entrambi “oggetto” del mondo per sette giorni, poi nient’altro. Mi chiedo: se non fossi morto così, durante una pandemia e tutto ciò che ne consegue, sarebbe stato lo stesso? La mia morte avrebbe fatto così tanto rumore? Avrebbe davvero interessato i mass media di tutto il mondo tanto da occupare le prime pagine dei giornali? Io credo di no. Respira nero, respira bianco… Breathe black, breathe white…».
di Nunzia D'Aniello
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