Dubbi sulla conferma del Reddito di cittadinanza
Duro colpo da parte della
Corte dei Conti alla misura per il sostegno al reddito voluta dal Movimento 5 Stelle per contrastare la povertà. Tant’è che da parte dell’opposizione si chiede che il
reddito di cittadinanza sia presto abolito per far spazio ad altri provvedimenti.
Nel dettaglio, la Corte dei Conti
Nel suo rapporto annuale sul
Coordinamento della finanza pubblica, ratificato nell’adunanza delle Sezioni riunite, ha puntato il dito contro il secondo pilastro del reddito di cittadinanza, ovvero per quella parte finalizzata a promuovere le
politiche attive del lavoro.
Il reinserimento al lavoro
Come noto, infatti, nel periodo di fruizione del reddito di cittadinanza si prende parte ad un percorso di reinserimento al lavoro che dovrebbe portare ad un nuovo impiego. Il tutto coadiuvato dai
centri per l’impiego e dai
navigator di Anpal Servizi. Ebbene, secondo la Corte dei Conti i risultati raggiunti fino ad oggi sono “
insoddisfacenti”. Ed è per questo che molti cominciano a parlare di
fallimento per il reddito di cittadinanza, chiedendo che questo non sia rifinanziato con la Legge di Bilancio per il 2021.
Reddito di cittadinanza: secondo la Corte dei Conti è un “fallimento”
I dati comunicati da
Anpal Servizi Spa evidenziano che al 10 febbraio 2020 i beneficiari del reddito di cittadinanza che hanno ottenuto un
rapporto di lavoro nel periodo di fruizione della misura sono stati
40 mila. Un dato che per la Corte dei Conti è alquanto insoddisfacente anche perché bisogna considerare che i nuclei familiari che hanno beneficiato del reddito di cittadinanza sono stati
1.041.000, con il coinvolgimento di poco più di
2,5 milioni di persone.
E a preoccupare i magistrati contabili
E' il fatto che “
non si intravedono segni di un maggiore dinamismo da parte dei centri per l’impiego rispetto al passato”. Solo il 23,5% delle persone ha cercato il lavoro attraverso il centro per l’impiego, e appena il 2,2% lo ha trovato.
A fallire, quindi, sembra essere stato il progetto della
riforma dei centri per l’impiego legato al reddito di cittadinanza, per il quale è stato investito
1 miliardo di euro con la Legge di Bilancio del 2019. Questi dati, quindi, non sembrano lasciare spazio ad interpretazioni: ma siamo sicuri sia già arrivato il momento di parlare di fallimento di questo progetto?
Reddito di cittadinanza e politica attiva: perché è ancora presto per dare un giudizio definitivo
Facciamo un passo indietro e ricordiamo quanto successo nei mesi scorsi. Il reddito di cittadinanza è partito a
marzo 2019. L’incremento del personale, invece, solamente a
settembre 2019: ben sette mesi dopo.
Nel frattempo c’è stata la crisi da COVID-19 che di certo non ha facilitato il lavoro.
I centri per l’impiego hanno dovuto fare i conti con una
politica attiva costruita nel contempo, con alcune misure - vedi l’assegno di ricollocazione - che sono state sbloccate solamente nel 2020. Ad oggi, quindi, potremmo dire che la riforma dei centri per l’impiego annunciata da Di Maio
non è ancora a regime; per questo motivo potrebbe essere ancora troppo presto per trarne un bilancio negativo. Ci sono diversi fattori da considerare; basti pensare a come la
burocrazia ha frenato i pagamenti delle indennità introdotte appositamente per l’emergenza da COVID-19 (come ad esempio il bonus 600 euro o la cassa integrazione) per farsi un’idea di come potrebbe aver rallentato la riforma dei servizi per le politiche attive per il lavoro. Riforma che in altri Paesi - Germania su tutti - ha richiesto anni di tempo, con un impiego di forza lavoro molto superiore a quello previsto dall’Italia con l’introduzione dei 3.000 navigator. Fonte: Money
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