L’“operetta” che ha capo e coda, nella stessa persona di Leone Melillo
Maria Rosaria Boccia e l'eredità di Pisacane: dalle interpretazioni affettive alla costruzione del domani, tra riflessioni su potere, consenso e il "demone d’azione" baudelairiano
Rammento, ancora oggi, il convegno internazionale “La rivoluzione napoletana del 1799, Carlo Pisacane e la città di Napoli, “Benemerita del Risorgimento Nazionale”, al quale fu invitata anche Maria Rosaria Boccia.
Un evento che ebbe luogo a Napoli il ventiquattro novembre del duemiladiciotto, promosso dal “Comitato per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Carlo Pisacane”, d’intesa con l’Amministrazione comunale di Napoli. Rammento anche la volontà di Maria Rosaria Boccia, che voleva concludere il suo percorso di studi, per il corso di laurea triennale in Economia Aziendale.
In occasione di quel convegno internazionale mi soffermavo anche sulle “svariate interpretazioni e utilizzazioni” del pensiero di un “uomo” e di una “donna” – in quel caso Carlo Pisacane ed Enrichetta Di Lorenzo – del loro “mondo affettivo” e della loro “coscienza”. Maria Rosaria Boccia evidenziava che “la bellezza nasconde tutte le doti che una donna ha e che il lavoro di Pisacane ha contribuito ad affermare forse in maniera inconsapevole, ma di sicura efficacia”.
Una lettura che sembra delineare, ancora oggi e solo ingiustamente, anche per Pisacane come in tanti altri casi e nella convinzione di molti, un’“operetta che non ha né capo né coda”.
Come è stato già evidenziato, rammentando Charles Baudelaire con “Lo spleen di Parigi” (1855 ed il 1864), l’Autore rivolgendosi ad un caro amico, Arsène Houssaye, gli offriva “un’operetta”, chiarendo che aveva “capo e coda” perché, infatti, “tutto in essa è, nello stesso tempo, testa e coda, alternativamente e reciprocamente”.
“È questa la differenza – evidenzia al riguardo l’Autore – fra il Demone di Socrate e il mio: che quello di Socrate gli si manifestava soltanto per proibire, avvertire, impedire; mentre il mio si degna di dare consigli, di suggerire e di persuadere. Il povero Socrate aveva solo un Demone proibitore; il mio è un grande affermatore, il mio è un Demone d’azione, o Demone di lotta”.
Affermazioni che invitano a soffermarsi, anche in questa circostanza – come è stato già evidenziato – sul “legame tra potere e consenso”, evidenziato da K. R. Popper e, quindi, su “La società aperta e i suoi nemici” e sul “Platone totalitario” (1945), che sembra dischiudersi ad accogliere la distinzione tra “problemi dell’oggi” e “costruzione del futuro”.
La “distinzione, nel campo dei problemi politici”, deve “corrispondere a quella fra persone e istituzioni”, “fra problemi dell’oggi e problemi del futuro”, che consente di affermare una distinzione tra “problemi dell’oggi che sono in larga misura personali” e la “costruzione del futuro che dev’essere necessariamente istituzionale”.
Si avverte un “vacuum” – come evidenzia Remo Bodei, leggendo Ernest Bloch – che induce a “trovare” un “preliminare depotenziamento del concetto di realtà assoluta”. La “prova di realtà”, in tal modo, “finisce così per apparire come un insieme compatibile di possibili simultanei”, le “cui combinazioni e configurazioni, più o meno stabili, possono variare ed essere sottoposte a incessanti mutamenti, in un gioco senza fine”.
Un modo per affermare che una “persona”, anche inconsapevolmente, può essere il “capo” e la “coda” dello stesso problema, che da sola ha determinato, soprattutto se cade nella dimensione, delineata da Charles Baudelaire con “Lo spleen di Parigi”, determinando un “conflitto”, in un “gioco senza fine”.