E' Claudio Campiti il responsabile della sparatoria di Roma. Su Facebook i post contro il condominio: "Mi tengono al buio, si spara meglio"
Nessun problema mentale o disturbo diagnosticato, l'unica patologia di cui soffriva Claudio Campiti era il diabete. E' assurda dunque la freddezza con cui l'uomo, ieri mattina, si è recato al poligono di Tiro Tor di Quinto portandosi via una Glock semiautomatica calibro 45.
Con quella ha ucciso tre donne e ferito quattro persone. Con quella pistola si allenava anche senza avere il porto d'armi. Gli era stato negato per via di una sfilza di denunce e segnalazioni per molestie e minacce.
È accusato di triplice omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi l'ex assicuratore nato a Roma nell’agosto del 1965, l’uomo responsabile della strage del condominio di Fidene, quartiere di Roma.
"Vi ammazzo a tutti" ha urlato ieri mattina entrando nel gazebo del bar di via Monte Giberto 21 messo a disposizione dei consorziati per svolgere una riunione necessaria all’approvazione del bilancio preventivo.
Gli altri quelle villette che guardano il lago le vivevano durante le vacanze, per lo più in estate. Lui, Campiti, invece ci risiedeva da tempo tutto l’anno, non in una vera abitazione ma in una parte di manufatto la cui edificazione non era stata mai ultimata. Sulle suo spalle gravava un lutto importante che lo aveva colpito nel 2012, quando il figlio Romano, di appena 14 anni, morì sulle piste da sci di Sesto Pusteria.
Claudio Campiti aveva un blog dell'odio
«Esistono i paradisi fiscali qui si ha un Paradiso Penale! - scriveva nel suo blog dell'odio l’uomo - qui il Codice Penale (che raramente pene infligge) si usa per andare al bagno». Poi ancora: «Nella Sabina Mafiosa trovare un tecnico (geometra, ingegnere civile o architetto) che mi servirebbe per allacciarmi ora alla rete idrica e fognaria, se sei in lite con la banda locale (consorzio...) è praticamente impossibile».
Viveva così in un manufatto senza utenze. «Pretendeva di rendere abitabile lo scantinato di un palazzo in costruzione di cui c’era solo lo scheletro. Ma non si poteva abitare, non si poteva fare. Però lui ci viveva, e pretendeva che in qualche modo gli fosse riconosciuto un suo diritto. Ma non si poteva», spiegava il sindaco di Rocca Sinibalda, Stefano Micheli.
Di contro le accuse dei consorziati: «Minacce costanti verso tutti, bambini compresi», faceva di conto Luciana Ciorba, vicepresidente del consorzio.
Una rabbia e un odio tali da scatenare ieri una carneficina. Chi è sopravvissuto alla sparatoria lo deve al fatto che la pistola di Campiti si sia inceppata all'improvviso.
In caserma pure di fronte al pm Giovanni Musarò non ha aperto bocca. In serata è stato disposto il decreto di fermo e per lui si sono aperte le porte del carcere.
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