Samia uccisa dall'ex, la figlia: «Mamma era terrorizzata da mio padre»
Miriam Saadi, 21 anni: «Perché nessuno l’ha aiutata? Chi ha sbagliato deve pagare». L'uomo è poi morto in un incidente stradale.

Un'altra tragedia, un altro femminicidio che scuote profondamente l’Italia. Samia Bent Rejab Kedim, 46 anni, è stata uccisa giovedì a Udine dal suo ex marito, Mohamed Naceur Saadi, 59 anni, durante un permesso premio nonostante fosse agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. L’uomo, subito dopo l’omicidio, è fuggito e ha perso la vita in un incidente stradale.
Una storia terribile, che si aggiunge a una lunga lista di donne che avevano chiesto aiuto, denunciato, temuto per la propria vita, senza ottenere protezione concreta. A rompere il silenzio e a raccontare l’orrore è Miriam Saadi, la figlia ventunenne della vittima.
La testimonianza della figlia: «Era terrorizzata, non l’hanno protetta»
Miriam, parlando al Messaggero Veneto, lancia un atto d’accusa doloroso e potente: «Mamma era terrorizzata da mio padre. Lo aveva denunciato più volte, ma poi per paura ritirava tutto. Aveva trovato il coraggio di dire basta, ma non è servito. L’hanno lasciato uscire, e lui l’ha uccisa».
Le parole di Miriam fanno emergere tutta la rabbia e la disperazione di una giovane che ha perso la madre per mano di un uomo che non accettava la fine del loro rapporto. «La mamma voleva solo essere libera e felice», afferma, sottolineando l’ennesimo fallimento delle misure di tutela per le donne vittime di violenza.
Il figlio minorenne ha assistito alla tragedia
A scoprire l’omicidio è stato il figlio minorenne della coppia, che ha dato l’allarme. «Ha sentito le urla e i rumori dalla porta – racconta Miriam – ha capito subito che stava succedendo qualcosa di grave e ha tentato di entrare, ma non ci è riuscito. È stato lui a vedere nostro padre fuggire sporco di sangue. Ora siamo rimasti soli: io, mia sorella Sabrina e mio fratello».
Un dramma nel dramma, che lascia tre figli orfani, traumatizzati, e una comunità che si interroga sulle responsabilità istituzionali che hanno reso possibile tutto questo.
Le domande che restano: perché è stato concesso il permesso?
Mohamed Naceur Saadi era agli arresti domiciliari a Monfalcone, ma godeva di permessi premio che gli consentivano di uscire due giorni a settimana, nonostante fosse dotato di braccialetto elettronico. Proprio durante uno di questi permessi ha raggiunto Udine e ha compiuto l’omicidio.
«Non dovevano lasciarlo uscire – dice Miriam – chi ha sbagliato deve pagare. Non è stato fatto abbastanza per aiutarla. Una donna che denuncia più volte, anche se poi ritira, va comunque protetta. Invece nessuno ha fatto nulla».
Samia aveva denunciato: l’ultimo tentativo di separazione
Appena tre giorni prima dell’omicidio, Mohamed si era presentato in tribunale a Udine per la prima udienza della separazione giudiziale. Non accettava l’idea di perdere il controllo su Samia. Aveva già più volte minacciato di mortela donna, che aveva finalmente trovato il coraggio di denunciarlo. L’uomo era finito in carcere, ma poi era stato scarcerato.
La mancanza di misure efficaci di tutela, nonostante il braccialetto elettronico e le denunce, ha consentito che la tragedia si compisse. E oggi Miriam, come tante altre figlie e figli di vittime di femminicidio, chiede giustizia e verità.
Una tragedia che chiama alla responsabilità
Quello di Samia non è un caso isolato. È l’ennesimo grido d’allarme che impone una riflessione profonda sul sistema di protezione delle donne vittime di violenza. Il braccialetto elettronico, i domiciliari, le denunce, non sono bastati.
Questa morte solleva interrogativi fondamentali: perché l’aggressore era libero? Perché non è stato fatto nulla di concreto per proteggere Samia? Chi aveva il dovere di intervenire deve ora rispondere davanti alla legge e alla coscienza pubblica.