Tengono in piedi gli ospedali italiani, lavorando anche 12 ore al giorno,
Mentre pagano per una formazione sempre più carente. Nel momento dell’emergenza il servizio sanitario nazionale ha chiesto un ulteriore sforzo agli specializzandi, ma il riconoscimento per quel lavoro extra, e per il rischio che comporta in questo periodo è un semplice contratto di collaborazione.
Non sono previste neanche le ferie, e dopo 10 giorni di assenza non retribuita il contratto viene rescisso. “Dopo un percorso di studio durato anni, in piena emergenza sanitaria veniamo mandati al fronte a salvare vite con un contratto di collaborazione. Chiediamo almeno il riconoscimento professionale attraverso un contratto a tempo determinato”.
Nei giorni scorsi
“Non ci si improvvisa rianimatori: se ne stanno arrivando da ogni parte del mondo è perché non ce ne sono abbastanza”. In Italia gli aspiranti specialisti non mancano: il prossimo test di accesso alle scuole di specializzazione, ad esempio, vedrà 22.500 candidati, tutti laureati in medicina e abilitati alla professione.
Le borse però sono solo 8mila e chi rimane fuori deve aspettare un anno, quando si aggiungeranno nuovi laureati. E a rimetterci siamo noi, con i contratti cococo”. E con tutti i rischi legati all’epidemia. E non basta recapitare agli ospedali qualche mascherina, ogni tanto: “Ci vogliono dispositivi adeguati per tipologia e per tempistiche. Non si può fornire una mascherina ffp2 a chi sta a contatto con i pazienti covid-19 e chiedergli di usarla per un mese, così come quella chirurgica non si può utilizzare per una settimana intera”.(IlFattoQuotidiano)
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