San Severo, Celeste Palmieri uccisa dal marito: «Si stavano separando, lui la perseguitava»
Non si era voluta trasferire con i figli in un luogo più sicuro
Tragedia a San Severo, in provincia di Foggia, dove Celeste Palmieri, 56 anni, è stata brutalmente uccisa dal marito Mario Furio, agente penitenziario in quiescenza di 59 anni.
L'omicidio è avvenuto la mattina di venerdì 18 ottobre nel parcheggio di un supermercato, dove Furio ha sparato alla moglie per poi togliersi la vita. La donna, gravemente ferita, è deceduta qualche ora dopo in ospedale, lasciando cinque figli.
La dinamica dell'omicidio
Celeste Palmieri si trovava al supermercato per fare la spesa quando ha incrociato l'ex marito, da cui era in fase di separazione. Nonostante il divieto di avvicinamento imposto a Furio e il braccialetto elettronico che monitorava i suoi movimenti, l'uomo è riuscito a raggiungerla e a compiere l'insano gesto. Mentre Celeste stava caricando le buste della spesa in auto, Furio le si è avvicinato e ha sparato diversi colpi, ferendola gravemente. Poco dopo, si è tolto la vita con la stessa arma.
Le buste della spesa di Celeste, cadute sull’asfalto, hanno fatto da tragico scenario alla vicenda, un simbolo silenzioso del quotidiano interrotto bruscamente dalla violenza.
Un dispositivo di sicurezza che non ha funzionato
Mario Furio indossava un braccialetto elettronico, obbligato dal tribunale dopo le ripetute denunce per stalking da parte di Celeste. La tecnologia, che avrebbe dovuto proteggerla, non ha funzionato come previsto. Poco prima dell’aggressione, il braccialetto ha segnalato ai carabinieri la sua vicinanza alla vittima, ma il dispositivo che avrebbe dovuto avvisare Celeste non ha suonato.
Nonostante l’allarme, le forze dell’ordine non sono arrivate in tempo per evitare la tragedia. L’aggressione si è consumata in pochi minuti, lasciando sgomenti i numerosi presenti che si trovavano nel parcheggio del supermercato al momento dell’omicidio.
Il rifiuto di trasferirsi in un luogo sicuro
Celeste Palmieri aveva già denunciato più volte il marito per le continue minacce e le persecuzioni subite. Tuttavia, nonostante i consigli dei servizi sociali e delle autorità, la donna aveva deciso di non trasferirsi in una località protetta, preferendo rimanere nel suo paese insieme ai figli.
La sua famiglia di origine, residente a Milano da anni, le aveva offerto rifugio, ma Celeste aveva scelto di restare vicina ai suoi affetti e al suo ambiente. Una scelta che, purtroppo, si è rivelata fatale.
La reazione della comunità
La notizia della morte di Celeste ha scosso profondamente la comunità di San Severo. Amici, conoscenti e semplici cittadini hanno espresso incredulità e dolore per l’accaduto. Armando Dell’Oglio, consigliere comunale, ha ricordato con affetto la vittima: «La conoscevo benissimo, la chiamavo affettuosamente Celestina. Era una donna buona, solare, di altri tempi. È assurdo che sia morta così». Dell’Oglio ha inoltre espresso sconcerto per il fatto che Furio fosse ancora libero, nonostante le denunce della moglie.
Un ennesimo caso di femminicidio
Il tragico omicidio di Celeste Palmieri si inserisce in una drammatica scia di femminicidi che continuano a scuotere l’Italia. Ogni anno, troppe donne vengono uccise dai loro partner o ex partner, vittime di una violenza che spesso non viene fermata in tempo. Le testimonianze dei presenti al momento del delitto raccontano il panico e l’incredulità che si sono diffusi tra la gente. «Non se ne può più di queste tragedie. Ogni giorno una donna viene uccisa, è una mattanza», ha dichiarato un’anziana cliente del supermercato, con gli occhi pieni di lacrime.
Il cordoglio delle istituzioni
L'intera amministrazione comunale di San Severo, guidata dalla sindaca Lydia Colangelo, ha espresso solidarietà e vicinanza ai figli della coppia, vittime indirette di questo dramma. La sindaca ha sottolineato l’importanza di non abbassare la guardia di fronte a episodi di violenza domestica, promettendo che il comune sarà vicino alla famiglia nel difficile percorso che li attende.
La morte di Celeste Palmieri, simbolo di una battaglia non vinta contro la violenza di genere, lascia un vuoto incolmabile nella sua famiglia e nella comunità. Un altro tragico caso che solleva interrogativi sulla protezione delle donne vittime di abusi.