E' possibile che lo abbiate visto in televisione, in qualche video su Internet, che lo abbiate incrociato su Twitter. E' uno spacciatore di buona scienza, uno scienziato che sa quali parole scegliere, cacciatore di fake news come il suo amico Roberto Burioni, rispetto al quale è però più morbido, compìto, gentile. E' un epidemiologo che fino a qualche mese fa era un mestiere complicato anche soltanto da spiegare ("effettivamente facevo fatica a dire agli amici cosa facevo"), mentre oggi è famoso come l'allenatore della Nazionale durante i mondiali di calcio. E, come gli allenatori durante i mondiali di calcio, tutti vogliono fare il suo mestiere: parlano di curve, ascisse e ordinate come fossero 4-4-2 e ripartenze. Pierluigi Lopalco - ordinario di Igiene a Pisa, per molti anni a Stoccolma dove ha coordinato le strategie vaccinali per il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie - purtroppo, però, non si occupa di pallone. Ma della salute nostra e del resto del mondo. E' stato tra i primi a capire cosa sarebbe diventato il Coronavirus. E, quando i fatti gli hanno dato ragione, ha fatto la scelta più inattesa: ha accettato l'invito di Michele Emiliano ed è tornato a casa, la sua Puglia dove è nato e dove mancava da molti anni, a fare il coordinamento scientifico della Task force contro il Coronavirus. Vive in una piccola stanza della Protezione civile. Chi lo ha frequentato in queste settimane racconta di non averlo mai visto senza un numero a meno di un metro. "Quelli, almeno, non sono contagiosi". Professore, partiamo dalla domanda più quotata in questo periodo: quando ci sarà il picco? "Due, tre giorni dopo che osserveremo scendere la curva in maniera costante potremo dire che c'è stato il picco. Non ha alcun senso oggi poter fare delle previsioni: i modelli previsionali sul Covid19 sono oggi come le previsioni del tempo. Funzionano a 24 ore, son buoni a 48 ma già dopo le 72 ore non sono più affidabili. Le variabili in gioco sono così tante che rendono impossibile una previsione che vada al di là dell'immediato. Chi lo fa o ha una sfera di cristallo o strumenti di calcolo che io non conosco". Quanto durerà? "Non poco. Su questo bisogna essere molto chiari con la gente. Ho sentito dire cose incredibili anche a chi ha la responsabilità del ruolo: il ministro dello Sport ha dichiarato che il campionato di calcio potrebbe riprendere ai primi di maggio, "a porte aperte o a porte chiuse". Ma di che parliamo? Prima di ottobre penso sarà impossibile riavere gente allo stadio. La mia previsione è che le misure restrittive dureranno almeno fino all'estate: ci potrà e dovrà essere una mitigazione delle misure, torneremo a lavorare, a uscire, ma si dovrà fare tutto con molta calma e cautela". Ma allora tutto questo sforzo non sta servendo a nulla? "Al contrario, ci sta salvando. I numeri raccontano che già c'è stata una frenata e in queste ore immagino ne vedremo un'altra. Ci sono delle fortezze, e penso soprattutto alla Lombardia, che devono essere ancora espugnate. E poi c'è un caso Milano che, evidentemente, ci preoccupa moltissimo: se il virus rompe l'argine delle città metropolitane, dei centri urbani a grande densità di popolazione, diventa un problema ancora più importante". Sta dicendo che non sappiamo quando finirà? "Sto dicendo che il problema non è quando ma come finisce. Noi dobbiamo augurarci che il picco non ci sia e che tutto questo duri il tempo più lungo possibile. Soltanto così, spalmando l'epidemia nel tempo, potremo avere la certezza di curare e di fare guarire più persone possibili. Perché anche su questo dobbiamo essere chiari: di Covid19 si guarisce".

Sembra di no. "Purtroppo il numero di vittime è altissimo, è vero. Perché il virus provoca una polmonite grave che può essere letale per le persone fragili. Ma si cura. Servono però medici e reparti disponibili. Il contagio è così veloce che potrebbe non esserci tempo. Rallentare la velocità di trasmissione è un esercizio di democrazia: tutti dobbiamo curarci. Perché, parliamoci chiaro, questa è la Spagnola del 2020. Il Covid assomiglia molto all'influenza che tra il 1918 e il 1920 fece 500 milioni di ammalati e 50-100 milioni di morti. Andrebbe così anche oggi se non avessimo le terapie intensive e se non avessimo preso misure drastiche per limitare il contagio, come quelle che abbiamo preso. Tutto durerebbe un mese e ci lasceremmo 100 milioni di morti alle spalle. Possiamo mai accettare un orrore del genere?". Il Governo ha fatto tutto quello che doveva? "Secondo me si è comportato benissimo. Ha fatto scelte giuste e coraggiose prima degli altri. Bisogna dargliene atto. Mi permetto però di dare un consiglio: la comunicazione è interamente affidata al Bollettino delle 18 della Protezione civile. Ma quello è un bollettino di guerra, sono numeri tremendi che non fanno altro che spaventare ancora di più le persone. E' un errore. Io penso invece che serva raccontare quello che si sta facendo, che si spieghi il perché ci siano scelte queste misure di mitigazione e dove vogliamo arrivare. Gli italiani sono persone intelligenti, lo stanno dimostrando anche in questo caso. Hanno però bisogno di capire". C'è ancora troppa gente per strada. "E' vero. Ma non serve soltanto punire. Ma anche spiegare. E non avere paura di farlo: io in questi anni ho lavorato principalmente ai programmi vaccinali. Ne ho viste e ascoltate di tutti i colori: complotti, movimenti No Vax. Noi siamo un paese di filosofi e di poeti. E anche gli scienziati alle volte si appassionano più alla storia della Biologia che alla Biologia stessa. Ma bisogna avere pazienza. E non perdere mai la speranza. Il messaggio da comunicare è molto chiaro: restate a casa. E se avete necessità di uscire, al ritorno lavatevi benissimo le mani con sapone e acqua calda". Si discute molto sulla necessità dei tamponi a tappeto. "Farli a tappeto non serve a nulla. E' necessario invece farli a tutti i sintomatici e a chi è entrato in contatto con i positivi". Il Nord sta soffrendo. Le immagini che arrivano dal bergmasco, da Brescia non le potremo mai dimenticare. C'è grande paura per il Sud, dove lei ha scelto di andare a combattere. Qual è la situazione? "Toccando ferro, la crescita è più bassa rispetto a quello che è successo al Nord. Ma l'epidemia è dietro l'angolo. Stiamo avendo il tempo per organizzare al meglio la rete ospedaliera. Si sta facendo un grandissimo lavoro". Perché ha scelto di tornare in Puglia? "Mi ha chiamato il presidente della Regione, Michele Emiliano. Mi ha detto: i tuoi corregionali hanno bisogno di te. Serve un coordinamento scientifico. Come facevo a dire di no?". Fonte: Repubblica Leggi anche All’ospedale di Avellino un bimbo nato da mamma positiva al Coronavirus. Seguici su Facebook 41esimoparallelo

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