Caso Paragon, il governo rifiuta di rispondere in Parlamento
L'opposizione insorge: "Un pericoloso precedente, è in gioco la dignità delle istituzioni"
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Il governo ha respinto le interrogazioni parlamentari presentate dalle opposizioni sul caso Paragon, riguardante le intercettazioni ai danni del direttore di Fanpage Francesco Cancellato, dell’attivista Luca Casarini e di Beppe Caccia. Il question time, previsto per domani alla Camera, è stato bloccato, suscitando l’indignazione dei gruppi parlamentari di opposizione.
A sollevare la questione è stato Davide Faraone di Italia Viva, seguito dagli interventi di Federico Fornaro (Partito Democratico), Francesco Silvestri (Movimento 5 Stelle), Benedetto Della Vedova (+Europa) e Marco Grimaldi (Alleanza Verdi e Sinistra).
Ipotesi segreto di Stato: il governo chiude la porta
Secondo i parlamentari dell’opposizione, il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha ricevuto una comunicazione ufficiale dal governo, nella quale si afferma che l’esecutivo non intende rispondere alle interrogazioni, appellandosi all’articolo 131 comma 1 del regolamento della Camera, il quale prevede che il governo possa rifiutarsi di rispondere indicandone il motivo.
La lettera, firmata dal sottosegretario Alfredo Mantovano, sottolinea che il tema è già stato discusso in sede Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) e che gli altri aspetti del contratto con la società israeliana produttrice del software di sorveglianza sono “classificati”. Questa espressione fa ipotizzare che potrebbe essere stato apposto il segreto di Stato sulla vicenda.
«Nella seduta di question time del 12 febbraio» – si legge nella lettera – il ministro Luca Ciriani ha già fornito «le uniche informazioni pubblicamente divulgabili. Ogni altro aspetto delle vicende deve intendersi classificato e non potrà essere oggetto di informativa pubblica, se non nella sede del Copasir».
Le proteste delle opposizioni: "Così si mina la democrazia"
L’opposizione ha duramente contestato la decisione del governo, accusandolo di evitare il confronto e di minare il corretto rapporto tra Parlamento e potere esecutivo.
Davide Faraone (Italia Viva) ha ricordato che, dopo le rivelazioni sul caso Paragon, alcune istituzioni come le Forze Armate e i Servizi Segreti hanno chiarito di non aver utilizzato il software. Restavano, quindi, due soggetti ancora non chiariti: la Polizia Penitenziaria e le procure.
Le interrogazioni avrebbero dovuto chiarire se queste entità avessero utilizzato Paragon per effettuare intercettazioni. Tuttavia, il governo ha scelto di non rispondere.
Federico Fornaro (PD) ha parlato di un precedente pericoloso, sottolineando che «la domanda era semplice: se Polizia Penitenziaria e procure utilizzino Paragon. Se il governo avesse risposto sì, avrebbe poi potuto appellarsi al segreto di Stato in Copasir. Ma rifiutarsi di rispondere prima ancora di affrontare la questione è inaccettabile».
Secondo Fornaro, questa decisione mette in discussione il principio del controllo parlamentare sull’esecutivo e lede la dignità del Parlamento.
Un precedente che preoccupa: il rischio di un controllo senza trasparenza
La vicenda Paragon solleva gravi interrogativi sul controllo delle comunicazioni e sulla trasparenza dei poteri di sorveglianza dello Stato. L’uso di strumenti avanzati di spionaggio senza un adeguato controllo democratico potrebbe aprire la strada a violazioni della privacy e abusi.
Il rifiuto del governo di rispondere sulle attività di intercettazione preoccupa le opposizioni, che temono una deriva autoritaria nel rapporto tra sicurezza nazionale e libertà civili.
L’opposizione ha chiesto al presidente della Camera di non accettare la decisione del governo e di insistere affinché l’esecutivo risponda pubblicamente. Ma al momento, la questione sembra destinata a rimanere avvolta nel segreto, con un ulteriore colpo alla trasparenza istituzionale.