Morte Arcangelo Correra: ha sfidato l'amico a sparare
Renato Caiafa si è reso conto che l'arma era vera solo dopo aver visto il sangue
Secondo il racconto di Renato Caiafa, imputato nel caso, la tragedia si sarebbe verificata durante un momento di sfida tra amici. Arcangelo Correra avrebbe provocato l’amico, sfidandolo a sparare e mettendosi volutamente in una posizione vulnerabile, mostrando il petto. Caiafa ha dichiarato di essersi accorto che la pistola fosse reale solo al momento dello sparo, notando il sangue dell’amico subito dopo. Le urla e lo shock dei presenti sono descritti nei documenti dell’inchiesta, ma il giudice solleva molti dubbi sulla ricostruzione fornita dai giovani.
Il mistero dell’arma e le indagini sull’acquisizione
La pistola utilizzata, una calibro 9x21 con matricola cancellata, era un’arma clandestina con un valore elevato, capace di contenere fino a 26 colpi. Nonostante Caiafa abbia dichiarato che il ritrovamento della pistola sia stato casuale, il giudice ha ritenuto questa versione poco credibile. Data la difficoltà di rinvenire una pistola in una zona buia, nascosta sotto un veicolo, l’autorità giudiziaria ritiene plausibile che il giovane e i suoi amici sapessero già della sua presenza.
Il valore dell’arma e la modalità di occultamento sollevano il sospetto che il gruppo di giovani fosse in possesso dell’arma da tempo o che sapesse esattamente dove trovarla. Tale ipotesi è rafforzata dal comportamento di Caiafa successivo alla sparatoria: avrebbe infatti chiesto allo zio di recuperare la pistola e lo scooter, lasciati sul luogo dell’incidente, suggerendo una consapevolezza e una premeditazione incompatibili con il ritrovamento fortuito.
Ultimi attimi di vita e indagini sulle prove
La tragica vicenda si arricchisce di dettagli dolorosi: dopo essere stato colpito, Arcangelo avrebbe pronunciato le parole “Non mi lasciare” rivolte al cugino, prima di essere trasportato all’ospedale dove sarebbe poi deceduto. Il giudice ha sottolineato la presenza di tentativi di occultamento delle prove da parte di Caiafa: l’imputato avrebbe spostato l’arma e gettato via i vestiti, forse per eliminare tracce compromettenti, indicando un chiaro tentativo di eludere le indagini.
Decisione del giudice: carcere per il rischio di inquinamento delle prove
Sebbene non sia stato considerato un pericolo di fuga, il giudice ha ritenuto necessario disporre la misura cautelare in carcere per evitare che Caiafa potesse reiterare il reato o inquinare ulteriormente le prove. Con l’assegnazione ai domiciliari, secondo il gip, Caiafa avrebbe potuto mantenere contatti con i compagni presenti sulla scena e continuare a manipolare elementi probatori, come già avvenuto con lo spostamento dell’arma e la distruzione di possibili tracce.
L’ombra della criminalità organizzata e il ruolo dello scooter
Le indagini non solo mettono in dubbio la versione fornita dagli amici di Arcangelo, ma evidenziano anche possibili legami con la criminalità locale. Lo scooter utilizzato per trasportare Correra in ospedale, che Caiafa ha dichiarato appartenesse all’amico deceduto, risulterebbe infatti associato a persone legate ad ambienti criminali. Questo elemento contribuisce a gettare ulteriori ombre sulla tragica vicenda, suggerendo che i ragazzi coinvolti avessero rapporti con realtà pericolose.
Verso una verità scomoda
Il caso della morte di Arcangelo Correra si fa sempre più complesso, e l’ordinanza del giudice presenta interrogativi che solo ulteriori accertamenti potranno chiarire. Resta l’immagine drammatica di un “gioco” che si è trasformato in tragedia e di una serie di decisioni prese in un clima di superficialità e irresponsabilità che hanno portato alla morte di un giovane di appena 18 anni.