Coronavirus, si muore anche a 16 e 20 anni. Il caso delle vittime giovani. "Il Covid-19 attacca chiunque".
Coronavirus, stanno morendo anche i pazienti giovani e sani. «Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che vi siano categorie di persone esenti dai rischi di questa malattia» avverte il professor Massimo Andreoni, primario di Malattie infettive al Policlinico Tor Vergata di Roma. Andrea Tesei aveva 26 anni, era un capo scout di Predappio, a pochi chilometri da Forlì, lo avevano soprannominato Waingunga (nome tratto dal Libro della Giungla racconta la cronaca locale del Carlino).
Era un ragazzo sano e allegro, dicono tutti. Era risultato positivo al coronavirus, era stato ricoverato per vari giorni in terapia intensiva, ma poi era migliorato ed era stato trasferito in pneumologia, di lì aveva telefonato alla madre per rassicurarla. C’è stato un improvviso peggioramento, ed è morto. «Questa è una malattia insidiosa, subdola, con improvvisi peggioramenti, è assai importante riuscire ad affrontarla sin dai primi sintomi» osserva il professor Andreoni. A Roma ci sono stati due morti nella fascia di età che va dai 30 ai 40 anni. Emanuele Renzi, 34 anni, l’operatore del call center tornato da una vacanza a Barcellona, morto a Tor Vergata: l’autopsia ha dimostrato che non aveva altre patologie. Un uomo di 36 anni, originario del Montengro, è deceduto allo Spallanzani. A Novara una guarda giurata di 33 anni, Alexander Roa, è stato ucciso dal coronavirus.
«Il Covid-19 può attaccare chiunque» è l’inizio del pezzo del quotidiano francese Le Parisien che racconta la storia della più giovane vittima d’Europa: Julie, 16 anni, studentessa che abitava a sud di Parigi. «Dobbiamo smettere di credere che il coronavirus riguardi solo gli anziani. Nessuno è invincibile», ha detto la sorella di Julie al giornalista del quotidiano francese. Ieri, rispondendo a una domanda, ha scritto su Twitter il professor Roberto Burioni: «Purtroppo questo virus non uccide solo i vecchi e i malati, come è stato evidente fin dal primo giorno». In altri termini: statisticamente le vittime sono i più anziani e coloro che avevano altre patologie, ma questo non significa che, con meccanismi che ancora dobbiamo comprendere fino in fondo, non colpisca duramente fino a ucciderli anche coloro che sono giovani e sani.
Cosa dicono i numeri? Le ultime statistiche diffuse dall’Istituto superiore della Sanità (26 marzo, dunque ancora non riportano il caso del ventiseienne della provincia di Forlì-Cesena) spiegano che tra i 30 e i 39 anni sono morte 17 persone, tra i 40 e i 49 ci sono 67 vittime. In termini percentuali, tra i morti in Italia lo 0,2 per cento ha meno di quarant’anni, lo 0,7 tra i 50 e i 59, mentre la fascia di età più colpita aveva tra 80 e 89 anni (39,7 per cento).
Conclude il professor Andreoni: «Nelle casistiche internazionali si segnala che nella fascia di età compresa tra i 19 e i 44 anni il rischio di letalità è tra l’1 per mille e il 2 per mille. Ma purtroppo aumentando notevolmente il numero di casi, le possibilità che vi siano vittime anche in questa fascia di età crescono. In qualsiasi malattia vi sono anche persone apparentemente sane che possono avere un decorso grave. Possono esserci a volte deficit immunologici peculiari che facilitano questo virus. E molto può dipendere anche dalla carica infettante: chi è contagiato da una carica infettante molto rilevante può avere conseguenze più serie. Di fatto la carica infettante è la quantità di virus che entra dentro di noi. Infine, c’è un’altra variabile: il paziente è sano, ma ha una condizione contingente di debolezza».