Felice ma arrabbiato, «perché per uscire dall'incubo e farmi ascoltare e farmi fare il tampone che mi ha salvato la vita ho dovuto mentire...». La storia di Roberto Perruccio, il 44enne di Torre del Lago che per primo in tutta la Versilia è risultato positivo al Covid 19, appena guarito, inizia il 22 febbraio scorso, dopo appuntamenti di lavoro tra Milano, Torino e Rimini, quando (due giorni dopo il primo caso di Codogno) lui sente i primi sintomi. «Avevo la febbre a 38, ma al 118 mi risposero di star sereno.Non ero andato in Cina, non era il caso di fare il tampone». Roberto tranquillizzato passò il weekend con il proprio bambino di dieci anni. «Ma lunedì 24 ho avuto vertigini, gambe molli, emicrania e perdita di gusto e la febbre a 39,5. E a quel punto ho mentito: al 118 dichiaro che l’azienda per la quale lavoro ha dei magazzini a Vo’ Euganeo (dove c’è stata la prima vittima italiana per Covid). Così finalmente scattò la procedura per il tampone e mi viene detto di richiamare solo in caso di grave crisi respiratoria». Poco dopo ha scoperto che anche il suo bimbo era positivo. E anche a lui il secondo tampone segnala ancora la positività. Sconfortato,spaventato va avanti, si sente responsabile di aver contagiato il figlio piccolo. Poi i giorni passano. Il 27 marzo nuovo test: tampone negativo. «Finalmente , con otto chili di meno, torno a vivere. Una volta risolti alcuni problemi burocratici, potrò tornare ad abbracciare i miei cari e sopratutto mio figlio. Ma quello che ho passato non è una semplice influenza. È qualcosa di più atroce, qualcosa che è veramente capace di farti del male. Fino a conseguenze estreme. Mi sento fortunato, ma rimane l’amaro in bocca per aver dovuto mentire per attirare l’attenzione di un sistema distratto e impreparato». Fonte: Il Mattino Leggi anche Infermiera positiva al coronavirus sorpresa a passeggio con marito e figli: "Buttavo l’immondizia" Seguici su Facebook 41esimoparallelo

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